Roero DOCG
I grandi rossi del Piemonte sono figli del vitigno principe di quest’area, il nebbiolo. Non fa eccezione il Roero DOCG, vino di grande eleganza e finezza che alla statura nobile dei vini nati da questo straordinario vitigno unisce la spiccata personalità del suo territorio, il Roero.
Il Roero DOCG ha radici profonde, ma una storia piuttosto recente. Antichi sono i legami del nebbiolo con il Roero, le colline che si estendono alla sinistra del fiume Tanaro in direzione di Torino. Eppure, la Denominazione venne creata soltanto verso la metà degli anni ’80, dopo un lungo processo di consapevolezza da parte dei produttori, che dovettero confrontarsi in un acceso dibattito tra tradizione e obiettivi enologici.
Da una parte, la tradizione insegnava che i vini a base nebbiolo, nel Roero, erano sempre stati giovani e fragranti, poco propensi all’invecchiamento: i cosiddetti nebiulin, a cui era sempre stato lecito aggiungere una piccola percentuale di uve arneis.
Dall’altra, si aveva la consapevolezza che per creare un vino nebbiolo di carattere e longevità si sarebbero dovuti abbandonare gli uvaggi del passato e dedicarsi alla creazione di un’etichetta monovarietale, capace di esaltare la territorialità del Roero, compresa la sua vocazione ad una beva giocata sulla finezza piuttosto che sulla potenza.
Dopo un trentennio di esperienze e sperimentazioni, oggi il Roero DOCG è il punto di arrivo di una qualità che ha fatto del territorio la sua principale differenza. Un rosso che appartiene in tutto e per tutto alla riva sinistra del Tanaro, che fa della purezza varietale (ormai quasi tutti i produttori utilizzano 100% uve nebbiolo) il suo fiore all’occhiello e che non ha paura di presentarsi accanto ai mostri sacri delle Langhe, Barolo e Barbaresco, con i quali può tranquillamente “sedersi a tavola”.
Vitigni
Denominazione
Colore
Tipo
Alcohol min.
Varianti
Stabilito nel
La storia del Roero DOCG
Un nebiulin ormai diventato grande
Il Roero DOCG prende il nome dal territorio sulla riva sinistra del Tanaro, il Roero, feudo dell'omonima famiglia astigiana.
«Roero» fu il nome della nobile famiglia astigiana che, a partire dal XIII secolo, iniziò ad espandere i suoi possedimenti sulle colline ubicate alla sinistra del fiume Tanaro, nei pressi di Alba. L’antico feudo medioevale passò così a identificare il territorio di una ventina di paesi che oggi si snodano tra Alba e la pianura torinese.
Leggenda vuole che tra il 1167 e il 1168 Federico Barbarossa avrebbe passato l’inverno nel castello di Monte Acuto, l’attuale Monteu Roero, alla cui mensa venne servito il “Nebbiolo del Roero”. Se la presenza dell’imperatore è plausibile (almeno stando alle ricostruzione dello storico sloveno Paul Pachner), impossibile è sapere di quale vino avesse goduto. Immaginare però, è un esercizio più che lecito.
La prima citazione certa appartiene al XIV secolo e fa riferimento a Canale, uno dei borghi più importanti della zona. Per l’affitto di un terreno, il notaio Guglielmo Bayamondo deve ai Conti del Roero due carrate di vino, una di moscatello e l’altra de “bono, puro vino nebiolio”. Proprio a Canale, gli Statuti comunali del Quattrocento fissavano al 29 settembre l’inizio della vendemmia. Data alquanto avanzata, compatibile con la lenta maturazione delle uve nebbiolo, le più tardive del Piemonte.
Bisogna fare un salto di almeno 500 anni per ritrovare il Nebbiolo del Roero al centro dei discorsi enologici. Nel 1970, quattro anni dopo Barolo e Barbaresco, nacque la Denominazione Nebbiolo d’Alba che comprendeva una vasta area attorno alla “capitale delle Langhe”, incluse le colline sulla sponda sinistra del Tanaro.
Tra i produttori cominciò a serpeggiare l’idea che il Nebbiolo d’Alba non fosse sufficiente a definire l’identità dei vini ottenuti nel Roero che, nel frattempo, vissero un periodo di estrema notorietà grazie alla ribalta di un vitigno bianco autoctono: l’Arneis.
Dopo aspre discussioni sulla natura della nuova Denominazione, il 18 marzo 1985 venne approvato il decreto legge che sanciva la nascita del Roero DOC con una particolare base ampelografica: 95% di nebbiolo, arneis tra il 2 e il 5%, e un 3% massimo di altri vitigni coltivati nel Roero.
La concessione dell’uvaggio con l’arneis serviva a rispettare una pratica assai diffusa sulla riva sinistra del Tanaro, ovvero quella di aggiungere al nebbiolo locale altri vitigni per ottenere vini di facile beva. Erano i cosiddetti nebiulin, assai popolari nel corso dell’Ottocento, versioni giovani e scalpitanti di Barolo e Barbaresco, certamente più fresche e “praticabili”, sicuramente meno austere e longeve.
La nuova Denominazione ebbe il merito di riportare la discussione sulla capacità del nebbiolo del Roero di competere con i grandi rossi piemontesi. Venne progressivamente abbandonata l’idea di mescolare l’Arneis con il nebbiolo, così come quella di utilizzare altri vitigni. Il Roero Doc poteva trovare la sua identità nei suoli sabbiosi e nel microclima verdeggiante della sua zona d’origine.
Fu da questo scatto d’orgoglio che, nel 2004, venne ufficialmente riconosciuta la DOCG Roero, il cui disciplinare ammette uve nebbiolo dal 95 al 100% del totale. Il vitigno arneis scompariva formalmente e, con esso, l’idea del nebiulin.
Oggi la stragrande maggioranza dei produttori vinifica il Roero DOCG in purezza, 100% nebbiolo coltivato sulle colline dei comuni del comprensorio: un inno alla diversità di un vitigno che ha trovato la sua vera vocazione anche a costo di abbandonare tradizioni che non ne valorizzavano il potenziale.
Roero DOCG: Terroir
Terreni sabbiosi, geologicamente giovani, regalano al Roero DOCG tratti fini e sapidi.
La denominazione Roero DOCG comprende diciannove comuni nella provincia di Cuneo compresi tra la sinistra orografica del fiume Tanaro e la propaggine meridionale della pianura torinese. Per intenderci, il territorio del Roero si snoda in direzione sud-nord tra Santa Vittoria d’Alba e Montà d’Alba e in direzione ovest-est tra Pocapaglia e Govone.
Pur confinando con le Langhe, il Roero ha sviluppato terreni propri. Mentre le Langhe si sollevarono da antichi fondali marini nell’Oligocene (circa 30 milioni di anni fa), il Roero comparve circa 20 milioni di anni più tardi, solo nel Pliocene.
In base ritrovamenti fossili, l’odierna riva sinistra del Tanaro doveva apparire come una rigogliosa spiaggia tropicale. Prova ne sono i fossili di conchiglie, foglie e tronchi di alberi fossilizzati, a cui si aggiungono pesci di piccola taglia, segno che ci trovassimo in acque poco fonde.
I suoli del Roero sono perciò più giovani di quelli delle Langhe, generalmente più soffici e con una migliore permeabilità, dovuta a una percentuale in sabbia decisamente superiore.
Terreni marnoso-sabbiosi che formano un substrato molto vocato alla coltivazione viticola, capace di incidere, tanto nei vini bianchi quanto nei rossi, accattivanti note floreali dal punto di vista olfattivo, e strutture giocate sulla finezza, l’eleganza e la sapidità, vera peculiarità di quest’area.
Caratteristica morfologica del Roero è la formazione delle Rocche, imponenti calanchi di arenaria gialla che, d’improvviso, rompono il paesaggio creando bastioni di roccia e canyon profondi anche centinaia di metri, immediatamente evidenti perché espongono il ventre della collina, al contrario verdeggiante di cui sono inframezzati i vigneti.
Altitudine preferita
Terreno preferito
Cru / MGA
Città di produzione
Roero DOCG: Vitigni
Il Roero DOCG è un vino monovarietale, e di conseguenza può essere prodotto esclusivamente da uve Nebbiolo
Nebbiolo: minimo 95%; possono inoltre concorrere congiuntamente o disgiuntamente, le uve provenienti da vitigni a bacca rossa non aromatici idonei alla coltivazione nella Regione Piemonte fino ad un massimo del 5%.
Il più nobile vitigno a frutto rosso del Piemonte richiede un’accurata scelta dell’ambiente colturale e delle condizioni di allevamento. Germoglia precocemente e matura generalmente a metà ottobre. Il grappolo si presenta medio-grande o grande, piramidale alato con acini medio-piccoli dalla buccia consistente di colore blu-nero appena sfumato di violetto. Da questo vitigno hanno origine il Barolo e il Barbaresco, il... puoi scoprire di più sul Nebbiolo qui.
Roero DOCG: Caratteristiche
Morbido, complesso ma mai complicato: un vino fine ed elegante.
Rosso sapido di indiscussa finezza ed eleganza, il Roero DOCG è il campione della sua zona. Complesso senza mai essere complicato, regala piene soddisfazioni grazie ad un'anima profonda eppure fragrante, che lo avvicina alle grandi espressioni di Barbaresco piuttosto che di Barolo.
Il Roero ha una vocazione fruttata che si evince a partire dal suo bel colore rubino accattivante che, nel tempo, si veste di riflessi granati. Un rosso di classe, capace di regalare, da giovane, una squillante piacevolezza sapida e che, con l'affinamento, si trasforma in emozioni di velluto e impareggiabile morbidezza con accenti speziati.
Alla vista
Il Roero DOCG si presenta di un bel colore rosso rubino con riflessi granati che si accentuano in base all’invecchiamento.
Al naso
Intenso e caratteristico, si distingue per le note di frutta scura. La versione Riserva vira sul balsamico e lo speziato, intensificando i sentori quaternari dati all'affinamento in legno.
In bocca
Asciutto, di buon corpo, armonico non eccessivamente tannico. Caratteristica principe del Roero è la sapida freschezza data dai suoli sabbiosi, che, nelle migliori espressioni, si mantiene viva anche con l’invecchiamento.
Disciplinare
Colore
Profumo
Gusto
Spuma
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Servizio
Servire in ampi calici a tulipano a una temperatura di 18°-20° C.
Roero DOCG: con cosa abbinarlo
Sapidità, freschezza e piacevolezza pongono il Roero DOCG ai vertici dei rossi gastronomici.
Estremamente flessibile, si accompagna a moltissimi piatti: dai primi di pasta ripiena alle lasagne al ragù, dagli arrosti agli stufati, dalla carne alla brace ai formaggi di media stagionatura.
Le versioni più giovani possono addirittura accompagnare il pesce.
Ricette da abbinare con Roero DOCG
Roero DOCG: Produzione
Ottenuto da un vitigno robusto e vigoroso, il Roero è frutto di delicato lavoro di vinificazione.
Il Roero DOCG viene ormai ottenuto da uve nebbiolo in purezza coltivate esclusivamente nei diciannove comuni della Denominazione.
Il nebbiolo è l’uva più nobile del Piemonte e anche nel Roero gode delle migliori posizioni, cure e attenzioni. Si tratta di un vitigno robusto e vigoroso, di buona adattabilità, capace come pochi altri di restituire nel bicchiere le differenze – anche minime – dei suoli dove viene messo a dimora
È a tutti gli effetti una varietà autoctona della zona, che si è adattata perfettamente ai suoli marnosi-sabbiosi qui presenti.
In cantina, il Roero DOCG segue una vinificazione tradizionale e delicata perché il nebbiolo possa esprimersi in tutta la sua magnificenza.
Dopo la pigia-diraspatura, le uve vengono solitamente ammostate in tini di acciaio inox a temperatura controllata, dove comincia una macerazione sulle bucce più o meno lunga, accompagnata dalla fermentazione alcolica.
La maturazione minima è di 20 mesi calcolati dal 1° novembre dell’anno di raccolta delle uve e con una permanenza in legno di almeno 6 mesi.
Esiste anche la tipologia Riserva: in questo caso, il periodo di maturazione diventa di 32 mesi, mentre la permanenza in legno resta inalterata.
Tempo in legno
Tempo in bottiglia
Messa in vendita
Resa delle uve
Incontra i produttori
Curiosità
Un vino che nasce nei "canyon" del Roero, in un territorio ricco di biodiversità.
Le Rocche formano una vera e propria “cordigliera” che spacca obliquamente il territorio del Roero in direzione sud-ovest, nord-est.
La divisione crea un “canyon” con spettacolari vedute sulle colline circostanti, spesso coperte di lussureggianti boschi. Esistono parecchi sentieri e percorsi per Mtb che valorizzano l’ecosistema delle Rocche, nonché un Ecomuseo delle Rocche del Roero che dovrebbe essere una meta imprescindibile per capire la cultura e la natura di quest’area.
Al contrario della Bassa Langa (quella del Barolo e Barbaresco per intenderci), il Roero ha preservato una biodiversità assai più ricca e variegata. La vite, seppur ben rappresentata, non occupa ancora tutti gli spazi disponibili alla coltura.
Il Roero è celebre per i suoi orti e frutteti, che producono specialità quali asparagi, pesche, pere, fragole e… tartufi.
Sì, perché i boschi del Roero, rigogliosi, appartati e di buona estensione (tra Pocapaglia e Sommariva del Bosco esiste un luogo chiamato America dei Boschi), sono la culla ideale per il Tuber magnatum Pico, il pregiatissimo tartufo Bianco d’Alba che, in autunno, diventa il re delle tavole piemontesi.