Barbaresco DOCG

Se per capire il Barbaresco ci servissimo dell’abusato paragone con il Barolo, faremmo un torto a entrambi. Non è forse giunto il momento di dire «vino al vino» e considerare le icone enologiche delle Langhe due tipologie simili per origine, ma profondamente diverse per carattere e risultato?

Il Barolo, nato nobile, ha dalla sua il blasone dei Marchesi Falletti e di tutto un apparato aristocratico che lo voleva far primeggiare sulle tavole della gente perbene.

Il Barbaresco, invece, nacque povero, esperimento enologico ben riuscito grazie alla straordinaria vocazione delle sue colline. Non fu l’austerità – come per il Barolo – a renderlo celebre, né la definizione di «Re dei vini». Ma l’amore viscerale (e intellettuale) dei tanti produttori che – a partire dal professor Dominio Gavazza – continuarono a credere nelle sue potenzialità.

Il Barbaresco è quello che è grazie a uno sforzo di elevazione collettivo.

Fu lo stesso Gavazza a lasciare la sua eredità in dote alle Cantine Sociali di Barbaresco e poi, mutatis mutandis, alla cooperativa dei Produttori del Barbaresco. Un vino, dunque, che si è davvero perfezionato sul campo, sforzo comunitario al buon bere. Come comunitaria è la sua natura, che lo ha reso comunque più amabile e gioviale del Barolo.

In grado di raggiungere vette di qualità assoluta, il Barbaresco resta un vino giocato sulla finezza, sulla femminilità, sui profumi. Ineccepibile, eppure accessibile; elevato, ma sempre conviviale: capace di condensare il meglio delle Langhe in una forma mai scontrosa, aperta agli abbinamenti audaci e al piacere di una bevuta fra amici.

Come scrisse lo stesso Gavazza cadendo nel sempiterno errore del paragone:

In te [Barbaresco] si correggono le austere doti del tuo maggior fratello: il Barolo. Tu più morbido, più pastoso, più soave, quasi di femminea voluttà soffuso; tu ne delizi di delicate fragranze; tu ne diffondi per le vene una sana vigoria, dolce suaditrice d’amore

D. Cavazza
da Ode al Barbaresco, 1897

Vitigni

100% Nebbiolo

Denominazione

DOCG

Colore

Rosso

Tipo

Fermo

Alcohol min.

12,50% % vol

Varianti

Riserva

Stabilito nel

DOC 1966 — DOCG 1980
Uva nebbiolo, ampelografia

La storia del Barbaresco DOCG

Un racconto di passione, amore e collettività

Nato come esperimento concepito da Louis Oudart per sorprendere gli accademici Sabaudi, il Barbaresco attraversa la contemporaneità e si trasforma: da vino "povero" a celebrità delle colline Piemontesi

Barbari, Barbaresco & Impero

Leggenda vuole che i Romani, là dove si estendeva la Barbarica Silva (da cui il toponimo «Barbaresco), iniziassero a tagliare gli alberi, dissodare i terreni e piantare la vite.

Impossibile dire se il racconto corrisponde a verità. Certo è che, a Barbaresco, l’Impero ebbe uno dei suoi latifondi di provincia. Qui sorgeva Villa Martis, toponimo dell’odierna Martinenga, primo nucleo abitato in modo stabile della zona, al cui al cui interno era presente una taberna, ovvero una fornace per la produzione di laterizi.

A Villa Martis si lega la vita dell’imperatore romano Publio Elvio Pertinace (126 – 193 d.C.) il quale, secondo la testimonianza contenuta nella Historia Augusta, avrebbe visto i natali proprio sulle colline di Barbaresco.

L'età Moderna

Per avere notizie certe sulla produzione del vino, però, bisogna fare un balzo di oltre un millennio e scomodare un personaggio che, per anni, è stato legato all’invenzione del Barolo (erroneamente, a quanto pare, come ha ben dimostrato Anna Riccardi Candiani nel suo saggio Louis Oudart e i vini nobili del Piemonte).

Si tratta del francese Louis Oudart, enologo, viticoltore, astuto commerciante. Esperto conoscitore dei vini francesi è certo che, nella prima metà del XIX secolo, Oudart volle impressionare l’ambiente vitivinicolo piemontese e gli accademici sabaudi con alcuni esperimenti sui vini di Langa. Su tutti, e qui giungiamo alla sua “vera invenzione”, un Nebbiolo secco dai vigneti di Neive.

Un Nebbiolo che, con le dovute cautele, fu il primo Barbaresco della storia, comunque ottenuto e vinificato come non era ancora stato fatto prima di allora.

La più antica bottiglia documentata di Barbaresco risale tuttavia al 1870: etichettata a mano è conservata presso la Cascina Drago.

Fu infatti verso la fine del XIX secolo che il vino delle colline orientali di Alba cominciò a farsi un nome. Il merito andrebbe interamente attribuito a Domino Gavazza, ampelografo e direttore delle Regia Scuola Enologica di Alba.

Dopo l’acquisto del Castello di Barbaresco e dei suoi vigneti, il professore iniziò una lungimirante opera di valorizzazione, culminata nella fondazione della Cantine Sociali di Barbaresco.

L'epoca fascista e il dopoguerra

L’opera di una mente illuminata divenne presto un bene collettivo, un vino capace di dare identità e fama a una piccola zona collinare a est della città di Alba. Nel 1934 nacque il Consorzio per la Tutela del vino Barolo e Barbaresco, mentre nel 1958 venne fondata la cooperativa Produttori del Barbaresco, tutt’ora una delle più importanti delle Langhe.

I Produttori cominciarono una fondamentale opera di zonazione del Barbaresco, vinificando separatamente le zone più prestigiose e storiche del comprensorio.

Ai giorni nostri

Nel 1966 il Barbaresco ottenne la Doc e nel 1980 raggiunse il vertice della piramide qualitativa dei vini italiani, ovvero la Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Nel 1997, tra le prime in Italia, viene avviata la mappatura delle Menzioni Geografiche Aggiuntive (MGA) al fine di identificare le zone più vocate ed esaltare la diversità di vini prodotti all’interno della stessa denominazione. Un lavoro che venne ultimato nel 2007, tre anni prima di quello del Barolo.

Da allora, il Barbaresco non ha smesso di stupire. Emancipato dal confronto con il Barolo, oggi è senza dubbio una delle icone delle Langhe, un vino probabilmente blasonato, ma profondamente amato dai suoi produttori che, in maniera ancora del tutto artigianale, lo producono esaltando la differenza e la qualità delle sue Menzioni, all’interno di una piccola ma vocatissima area del Piemonte meridionale.

Barbaresco DOCG: Terroir

La denominazione Barbaresco si estende sulle colline orientali delle Langhe.

L’area, delimitata a nord dal fiume Tanaro e a est dalle prime propaggini del Monferrato, si estende su circa 1500 ettari vitati, di cui 700 coltivati a nebbiolo, l’unico vitigno ammesso per la vinificazione.

I comuni in cui può essere prodotto sono soltanto quattro: Barbaresco, Neive, Treiso e la frazione San Rocco Seno d’Elvio, appartenente alla circoscrizione della città di Alba.

Qui i vitigni crescono rigogliosi e ordinati, ad altitudini fra i 300 e i 550 metri sul livello del mare. Poggiano su suoli originatisi in era Terziaria dall’emersione di antichi fondali marini. Si tratta, principalmente di marne ricche di calcare e microelementi, con porzioni più o meno spiccate di sabbia.

Pur abbastanza omogenea, la zona del Barbaresco si può differenziare in due aree distinte: Treiso, San Rocco Seno d’Elvio e Neive (soprattutto la parte a sud del centro abitato), appartengono alla cosiddetta «Formazioni di Lequio», caratterizzata da strati di marne compatte grigie, alternati a strati di sabbia.

I suoli di Barbaresco e la parte compresa tra questo comune e Neive, al contrario, mostrano terreni segnati da marne bluastre e calcaree, le celebri «Marne di Sant’Agata Fossili».

Mentre la Formazione di Lequio incide soprattutto sulla struttura, regalando espressioni di Barbaresco corpose, austere e croccanti, le Marne di Sant’Agata si contraddistinguono per donare vini estremamente eleganti, fini e di carattere quasi “femminile”.

Altitudine preferita

max 550 m.s.l.m.

Terreno preferito

argillosi, calcarei e loro eventuali combinazioni

Cru / MGA

Meruzzano, Montersino, Rizzi, Rocche Massalupo, Asili, Cà Grossa, Cars, Cavanna, Cole, Faset, Martinenga, Montaribaldi, Montefico, Montestefano, Muncagota, Ovello, Pajè, Pora, Rabajà, Rabajà-bas, Rio Sordo, Roccalini, Roncaglie, Roncagliette, Ronchi, Secondine, Tre Stelle, Trifolera, Vicenziana, Albesani, Balluri, Basarin, Bordini, Bric Micca, Bricco di Neive, Canova, Cottà, Currà, Fausoni, Gaia-Principe, Gallina, Marcorino, Rivetti, San Cristoforo, San Giuliano, Serraboella, Serracapelli, Serragrilli, Starderi, Ausario, Bernardot, Bricco di Treiso, Casot, Castellizzano, Ferrere, Garassino, Giacone, Giacosa, Manzola, Marcarini, Meruzzano, Montersino, Nervo, Pajorè, Rizzi, Rombone, San Stunet, Valeirano, Vallegrande

Barbaresco DOCG: Vitigni

Il Barbaresco DOCG è un vino monovarietale, e di conseguenza può essere prodotto esclusivamente da uve Nebbiolo

Il più nobile vitigno a frutto rosso del Piemonte richiede un’accurata scelta dell’ambiente colturale e delle condizioni di allevamento. Germoglia precocemente e matura generalmente a metà ottobre. Il grappolo si presenta medio-grande o grande, piramidale alato con acini medio-piccoli dalla buccia consistente di colore blu-nero appena sfumato di violetto. Da questo vitigno hanno origine il Barolo e il Barbaresco, il... puoi scoprire di più sul Nebbiolo qui.


Barbaresco DOCG: Caratteristiche

Un grande vino che non ha bisogno di grandi occasioni.

Vino di gran classe eppure mai ridondante, il Barbaresco si staglia fra i grandi rossi per la sua capacità di essere profondo e fresco, complesso e non complicato, nobile ma non snob.

Può essere stappato in qualsiasi momento grazie alla sua finezza, all’armonia degli aromi e a una struttura che non appesantisce né il palato, né lo stomaco.

Come scrisse Dominico Gavazza:

A te [Barbaresco] ogni ora è propizia e ogni vivanda buona compagna!

Riserva

La versione Riserva, pur mantenendo l’ottima beva, approfondisce le note «blu» e «mature» del Barbaresco rimarcando la complessità degli aromi attraverso note terziare date dal lungo affinamento in legno.

Alla vista

Il Barbaresco si presenta di un bel colore rosso acceso con riflessi granati che si accentuano in base all’invecchiamento.

Al naso

Intenso e profondo, si caratterizza per note scure di viola e frutta matura, marasca e ribes.

Con l’età, sviluppa sentori speziati e balsamici, fino ad esprimere sensazioni di goudron (nota calda ed eterea che ricorda il catrame).

In bocca

Gusto ricco e persistente, asciutto e armonico, con tannini morbidi ma ben riconoscibili.

Caratteristica principe del Barbaresco è la finezza, che, con l’invecchiamento, approfondisce i sentori di cuoio, liquirizia e pepe armonizzati a note di violetta appassita e prugna matura.

Disciplinare

Questa DOCG è stata approvata dal D.P.R. 01.07.1980

Colore

Rosso acceso con riflessi granati in base all’invecchiamento

Profumo

Intenso e caratteristico

Gusto

Asciutto, pieno, armonico

Spuma


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Servizio

Servire in ampi calici a tulipano a una temperatura di 18° - 19° C.


Barbaresco DOCG: con cosa abbinarlo

Considerato tra i migliori vini italiani da arrosto, accompagna brasati, spezzatini, carni in umido e selvaggina.

Pur essendo un vino gastronomico, si adatta praticamente ad ogni piatto saporito: dalla pasta ripiena al ragù, ai risotti di zucca; dalle carni alla fiamma al bollito e ai formaggi ben stagionati.

Raggiunge l’apice con ricette a base di tartufo, funghi e stufati. Ottimo anche come vino da meditazione.


Barbaresco DOCG: Produzione

Il Barbaresco viene ottenuto da uve nebbiolo in purezza

Il nebbiolo è l’uva principe delle Langhe, quella a cui sono riservate le migliori posizioni, cure e attenzioni.

È un vitigno robusto e vigoroso, di buona adattabilità, capace come pochi altri di leggere – con estrema precisione – le caratteristiche dei terreni dove viene messo a dimora.

Nelle mani di agronomi ed enologi esperti, capaci di comprendere e rispettare le peculiarità dei luoghi da cui proviene, può trasformarsi in etichette di eccezionale caratura, fortemente identitarie, riconoscibili da una serie di “connotati” che riconducono, in modo univoco, al vigneto di appartenenza.

Valorizzare la duttilità del nebbiolo e la sua capacità di manifestare l’unicità dei suoi vigneti è la sfida dei produttori contemporanei, che oggi possono segnalare in etichetta la Menzione Geografica Aggiuntiva da cui il vino proviene.

Fermentazione

A livello produttivo, il Barbaresco segue una vinificazione per lo più tradizionale.

Dopo la pigia-diraspatura, le uve vengono ammostate in tini di acciaio inox a temperatura controllata, dove comincia una macerazione sulle bucce più o meno lunga, accompagnata dalla fermentazione alcolica.

Molti produttori hanno adottato la tecnica delle follature e dei rimontaggi per cercare un’estrazione nobilitante, fino alla completa trasformazione degli zuccheri in alcool.

Affinamento

Alla fermentazione, segue l’affinamento in botti di legno (minimo 9 mesi) che possono essere di grandi o piccole dimensioni in base alle scelte enologiche perseguite.

Anche il Barbaresco Riserva deve invecchiare per almeno 9 mesi in legno, ma, solitamente, i produttori optano per periodi molto più lunghi, in cui il vino si complessa, maturando aromi terziari e quaternari (tipico dei Barbaresco maturi è il gudron, ovvero una calda e intensa nota eterea che ricorda il catrame).

Tempo in legno

Almeno 9 in botte di legno mesi minimo

Tempo in bottiglia

17 mesi, 41 per il Riserva mesi minimo

Messa in vendita

Due anni, a partire dal 1° novembre dell’anno di raccolta delle uve. Quattro anni per la versione Riserva. mesi minimo

Resa delle uve

8 tonnellate per ettaro

Incontra i produttori

  • Vista panoramica - Azienda Agricola Runchét
    Produttore di Vino

    Runchét

    — Treiso —

  • Giordano vini - foto esterna
    Produttore di Vino

    Giordano Vini

    — Diano d’Alba —

  • Produttore di Vino

    Scarpa Wines

    — Nizza Monferrato —

  • Winebar

    Döi Crutin

    — Neive —

  • Produttore di Vino

    Cascina Fonda

    — — —

  • Azienda Agricola Rusél
    Produttore di Vino

    Rusél

    — Barbaresco —

  • Produttore di Vino

    Baldissero Vini

    — Treiso —

  • Produttore di Vino

    Ceretto

    — Alba —

Curiosità

Il Barbaresco è un vino di primati.

Nel 1966 viene insignito, assieme al Barolo, della Denominazione di Origine Controllata: è una delle prime in Italia.

Ma è in assoluto il primo vino della Penisola (prima dello stesso Barolo) ad ottenere nel 2007 il riconoscimento delle Menzioni Geografiche Aggiuntive, ovvero la delimitazione ufficiale di aree di produzione particolarmente vocate per storia, tradizione e qualità delle uve.

Infine, anche la Torre di Barbaresco vuole la sua menzione. È infatti la più grande torre di tutto il Piemonte, con uno spessore delle mura di quasi tre metri.

Anticamente ricoperta da un tetto, venne scoperchiata nel 1821 per creare un enorme falò dedicato all’arrivo del re Vittorio Emanuele I.

Il prestigio del Barbaresco – e delle sue Menzioni – viene tutelato anche dal formato di vendita. Non è possibile acquistare Barbaresco sfuso, ma solo in bottiglie che vanno dagli 0,375 ai 5 litri.

Tutte le fasi di produzione, dalla coltivazione delle uve nebbiolo all’imbottigliamento, devono essere eseguite all’interno delle aree della denominazione: esistono pochissime deroghe a questa norma, concesse per ragioni storiche ad alcune cantine del Monferrato e del Roero.



Redazione Langhe.net

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