Ceresole d’Alba – Ai tempi in cui non si disponeva ancora dell’acqua nella stalla, per abbeverare gli animali si usavano vasche scavate nella terra che raccoglievano l’acqua piovana. Quelle piccole e di uso privato erano chiamata tampe, quelle grandi e pubbliche laiass.
Ad ogni primavera i contadini compravano gli avanotti dalle cascine che disponevano di peschiere dove le tinche si riproducevano e li si buttava nella vasca di casa. Poi, la prima domenica di settembre, tutti si improvvisavano pescatori. Il pranzo della festa del paese aveva un menù fisso: tinca fritta.
Sui motivi della bontà e della bellezza della tinca di Ceresole corrono le opinioni più disparate: chi le collega ai terreni argillosi del luogo, chi ad una sorta di osmosi, che veniva a determinarsi tra l’abbeveraggio degli animali e la bontà delle tinche stesse.
Perduta la loro funzione originaria, gran parte delle “tampe” sono state otturate e, con loro, è scomparso anche l’allevamento delle tinche.
Le “tampe” sopravvissute, anziché pesci, offrono habitat naturali particolarissimi e spettacolari fioriture di ninfee.
Da segnalare una visita agli stagni della Tenuta Gallina tra la fine di luglio e la prima metà di settembre per sorprendersi di fronte alle splendide fioriture del fior di loto.
Ancora oggi la tradizione è ben viva, e la festa patronale della prima domenica di settembre è l’occasione giusta per ceresolesi e turisti di gustare in piazza le tinche fritte o le altrettanto deliziose tinche al brusc (in carpione).
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