Arte e cultura

Pavese & le Langhe: il sogno e il simbolo – parte 3

Maggio 24, 2018

Fino a qui, comunque, si è detto riguardo al simbolo. Secondo Pavese, poi, esiste un punto in cui è possibile ritrovare, sebbene in un’eruzione inconscia, l’importanza e la sostanza del simbolo: il sogno. La sua riflessione, allora, porta ad una posizione complementare al simbolo ed al mito la simbolicità del sogno, sottolineando quindi la comunanza del “sogno di vita” con il simbolo ed il mito.

In questo passaggio si arriva alla panicità (cioè alla dimensione totale, che ingloba tutto) del mito a livello antropologico. Essa è tale soltanto perché è un fenomeno peculiare della razza umana, però nella fattispecie personale, declinato quindi singolarmente secondo ogni soggetto in grado di immagazzinare immagini e caricarle, anche inconsapevolmente, di soggettività personale.

C’è nella specie umana una capacità comune che si avvale di simboli per ottenere una sorta di significato applicato della propria esistenza, per arrivare al quale è necessario uno scavo interiore:

Differente soltanto è il risalto che la vita interiore darà in avvenire a questi simboli: qualcuno sentirà ingigantirsi nell’anima il ricordo remoto sino a comprendervi cielo e terra, e se stesso.

Nulla quindi è salutare come, davanti a qualunque più alta costruzione fantastica, sforzarsi di penetrarla sfrondandone ogni rigoglio e isolandone i simboli essenziali. Sarà un discendere nella tenebra feconda delle origini dove ci accoglie l’universale umano, e lo sforzo per rischiararne un’incarnazione non mancherà di una sua faticosa dolcezza. (Cesare Pavese, Stato di grazia, in Feria d’agosto)

La centralità dell’autocoscienza di sé e dello scavo interiore

Questo scavo interiore, dunque, è necessario all’uomo che voglia conoscere, illuministicamente ma anche demistificatoriamente, se stesso senza filtri. Penetrando all’interno del “vivaio perenne” ed osservando, per continuare la metafora, tutte le specie che questo ospita, l’uomo sarebbe in grado di scomporre la propria esistenza e, in un certo senso, analizzarla, studiarla e comprenderne i meccanismi di funzionamento al fine di comprendere se stesso in generale.

Sempre continuando il paragone con il mito, il simbolo e l’“ideale di vita”, Pavese riflette sull’importanza dell’inconscio, il quale assume una forma quando viene scoperto, e comprende che

il loro [del mito e del simbolo] balenare dall’inconscio alla luce significa l’inizio di un processo che si placherà soltanto quando li avremo tutti penetrati di luce; ed essi sfuggono, ricadono nell’indistinto cui appartengono con la parte più ricca di noi.

Del resto, sovente la loro materia è la stessa degli «ideali di vita», o meglio gli ideali si sono costituiti concrescendo a questi germi, a queste figure, che lievitando nel nostro spirito hanno prodotto i più vistosi organismi del sogno, dove affluirono elementi dell’esperienza quotidiana e riflessa. Qui ciascuno non ha che a scomporre i suoi più elaborati sogni di vita e, se sarà fortunato, gli resterà nel crogiolo, irriducibile e forse inatteso, qualcosa in cui potrà riconoscere la sua verità. (Cesare Pavese, Stato di grazia, in Feria d’agosto)

Il sogno, dunque, è un elemento – se non l’elemento più importante – per l’uomo per riuscire a scoprire qualcosa di sé. Anche in L’adolescenza, altra prosa di Feria d’agosto, Pavese riflette sul denudamento di sé come processo di apprendimento, come occasione per imparare qualcosa ed arrivare alla conoscenza di se stessi come scavo nella memoria, in particolare quella dell’infanzia, cioè il momento in cui i simboli si creano:

È necessario a questo scopo impadronirsi di se stessi – una conquista paziente – al punto di saper trascurare i ricordi gloriosi e confinarsi a scavare le zone monotone e neutre. Sono queste le plaghe di semplice vita infantile, istintive, vergini – per quanto è possibile – d’incontri culturali compreso il linguaggio. La difficoltà massima è nel fatto, sopra osservato, che il ricordo ci conserva soltanto ciò che in noi fanciulli fu, già, espresso, vale a dire ispirato da fuori. (Cesare Pavese, L’adolescenza, in Feria d’agosto)

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