Arte e cultura

Pavese & le Langhe: il sogno e il simbolo - parte 1

Maggio 10, 2018

 

Nell’amorevole rapporto di Pavese con le Langhe un altro elemento estremamente importante, anche costitutivo della stessa forza di questo sentimento, è il simbolo, che potrebbe qui essere inteso come una sorta di immagine fissata nella mente dello scrittore con un inchiostro incancellabile, come un quadro scolpito nella sua mente e nei suoi ricordi che, ad ogni nuova fruizione naturale, ad ogni nuova contemplazione, fa nascere nel suo osservatore un sentimento di appartenenza e di comunanza, insomma di agio.

Questo è sicuramente di importanza centrale per il rapporto analizzato: senza questo vero e proprio vincolo di forza le Langhe sarebbero per Pavese soltanto un luogo come un altro; piuttosto, esse si rivelano costitutive della sua persona, parte importante di se stesso ed oggetto di una sua grande affezione legata ai luoghi.

Il ruolo dell’infanzia

Come più volte chiarificato nel corso del Novecento, con la grandissima e velocissima nascita ed evoluzione degli studi psicoanalitici, l’infanzia gioca per l’uomo e per il suo immaginario un ruolo di prim’ordine.

È durante l’infanzia che l’essere umano colleziona tutto quanto ciò che, prima o dopo, finirà per pregiudicare le azioni della sua vita, indirizzandole verso un preciso scopo od un preciso fine, senza contare che è proprio in questo periodo che si tende a sviluppare sempre più la facoltà mimetica, cioè ad imparare dagli altri e a mettere in pratica i concetti che dagli altri si imparano.

Pavese questo lo sapeva bene: in una delle sue riflessioni in Feria d’agosto, non a caso intitolata Del mito, del simbolo e d’altro, egli puntualizza:

a ciascuno i luoghi dell’infanzia ritornano alla memoria; in essi accaddero cose che li han fatti unici e li trascelgono sul resto del mondo con questo suggello mitico.

Ma il parallelo dell’infanzia chiarisce subito come il luogo mitico non sia tanto singolo, il santuario, quanto quello di nome comune, universale, il prato, la selva, la grotta, la spiaggia, la casa, che nella sua indeterminatezza evoca tutti i prati, le selve ecc., e tutti li anima del suo brivido simbolico. Neanche nella memoria dell’infanzia il prato, la selva, la spiaggia sono oggetti reali fra i tanti, ma bensí il prato, la spiaggia come ci si rivelarono in assoluto e diedero forma alla nostra immagine. (Cesare Pavese, Del mito, del simbolo e d’altro, in Feria d’agosto)

Secondo Pavese, dunque, è lo sguardo infantile che sancisce l’essenza del mondo adulto: come una ripetizione costante di dati immagazzinati durante l’infanzia, l’uomo rivive una seconda volta quanto ha già in realtà vissuto prima, senza però ricordarselo ma percependo un alone mitico legato all’oggetto della sua osservazione, il quale lo catapulta in un inspiegabile stato di grazia.

Soltanto quando è bambino, dunque, l’uomo riesce a vivere senza mediazioni di alcun genere, riesce ad aderire alla vita e lasciare che una precisa sensazione o l’osservazione di un luogo permei la sua persona di una sensazione. Guardando ad un pensiero relativamente tardo del Mestiere di vivere, infatti, questo viene esplicitato da Pavese senza alcun dubbio:

Dura lo stato di vaghezza, di incerta ricerca. Si riapre il problema già sovente toccato: non t’accorgi di vivere perché cerchi il nuovo tema, passi trasognato i giorni e le cose. Quando avrai ricominciato a scrivere, penserai soltanto a scrivere. Insomma, quand’è che vivi? Che tocchi il fondo? Sei sempre distratto dal suo lavoro. Giungerai alla morte senza accorgertene.

Ecco perché l’infanzia è la giovinezza sono il vivaio perenne: allora non avevi un lavoro e vedevi la vita disinteressato.

Efficacia dell’amore, del dolore, delle peripezie: si smette il lavoro, si ritorna adolescenti, si scopre la vita. (Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 28 gennaio 1949)

La dimensione infantile come casa del simbolo

In questo pensiero è quindi ben visibile la differenza tra il presente, visto come luogo della vita collegata all’incessante ricerca del nuovo utile a renderla vera, ed il passato, inteso come il luogo del “vivaio perenne”, cioè un dove ricco di esperienze collezionate e collezionabili che aumentava continuamente la propria flora.

Per questo, allora, la dimensione infantile è di importanza centrale per l’uomo: in essa si crea e nasce il simbolo che si pone come misura conoscitiva del mondo, tanto nel passato quanto nel futuro che, prima o poi, diverrà presente.

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