L’ultimo capitolo del nostro viaggio nel mondo del Roero DOCG prosegue con Claudio Battaglino della cantina Patrunet di Vezza d’Alba, Daniele di Poderi Vaiot di Montà, Margherita Battaglino di Pqlin di Castagnito, Maria di Francesco Rosso di Santo Stefano Roero!
Le testimonianze che ci hanno guidato alla scoperta delle qualità sensoriali (e non solo!) di questo vino sono state sorprendenti e le potete ripercorrere nel primo e nel secondo volume di questa piccola rubrica dedicata alla voce dei produttori.
Che tipo di vino è secondo te?
CLAUDIO — E’ il Nebbiolo che si trova sulla sinistra del Tanaro, come impronta vuole essere un po’ il “fratello” del Barolo e del Barbaresco, ma diverso perché si può bere leggermente prima rispetto a primi due, pur non disdegnando l’invecchiamento.
daniele — E’ un grande vino, a livello qualitativo possiamo dire di aver raggiunto il Barbaresco; è molto corposo, persistente nel gusto e con la sapidità tipica dei vini del Roero.
margherita — Si tratta sicuramente di un buon vino, 100% a base nebbiolo con affinamento di 18 mesi in botte di rovere.
Questo permette di avere gusto e profumo molto intensi di more, ciliegie e frutti rossi in genere.
maria — E’ un vino che non tutti conoscono, ma che ha grandissime potenzialità. E’ un Nebbiolo che può invecchiare moltissimo, senza avere nulla da invidiare a un Barolo o un Barbaresco.
E’ una zona un po’ meno conosciuta, ma con delle possibilità importanti.
Perché ti piace?
CLAUDIO — Perché è tutto da scoprire, è fresco e giovane capace di invecchiare anche 10-15 anni in maniera egregia.
daniele — Mi piace perché è impegnativo al punto giusto, direi che si può bere anche a fine pasto per farti concludere bene la serata! Quindi lo si può considerare anche un buon vino da meditazione, a mio avviso.
margherita — Perché è un prodotto molto legato al nostro territorio, ma anche perché, fin dai tempi di mio nonno, era considerato il vino da festa, delle occasioni importanti, a differenza della Barbera che è invece un vino da tutti i giorni.
Con cosa lo abbini?
CLAUDIO — Essendo strutturato e corposo, mi piace abbinarlo a secondi piatti, come selvaggina, e ai formaggi, anche abbastanza stagionati.
Una particolarità, soprattutto adottata dalla nostra famiglia, sono le pesche al vino con il Roero DOCG, una sorta di sangria roerina.
E’ un bel ricordo di quando ero bambino: veniva servito dalla mia famiglia durante il periodo di Ferragosto, quando c’era la festa di paese.
daniele — Durante le degustazioni lo accompagniamo alle nocciole tostate e, volendo esagerare, anche alla torta di nocciole. Un abbinamento diverso, ma di grande effetto.
margherita — Mi piace con le carni molto saporite, ma anche con i primi conditi con sughi decisi, sempre a base di carne. E perché no, anche la carne all’albese può essere un buon abbinamento.
maria — Si abbina normalmente a cibi succulenti: brasati, guance, selvaggina, tutti quei piatti di carne che richiedono una cottura lunga e lenta perché si sposano bene con il tannino del Roero DOCG.
Che differenza c’è tra quello normale e il Riserva?
CLAUDIO — Il Riserva ha un invecchiamento più lungo, 30 mesi, di cui minimo 20 in legno. Il nostro fa 30 mesi in legno, in tonneau e dopo di che viene imbottigliato. Il Roero base affina 12 mesi in legno ed è pronto per essere venduto dopo 20 mesi.
daniele — Data la lunghezza del periodo di affinamento, con il Riserva ottieni un vino “finito”, mentre il Roero DOCG è più di pronta beva.
Noi al Riserva dedichiamo ancora un anno di affinamento in bottiglia per farlo riposare e dargli il tempo giusto di riprendersi dopo la lavorazione.
margherita — Il Riserva, secondo me, ha un valore aggiunto perché, lasciandolo affinare, acquisisce dei profumi importanti ed emergono maggiormente le sue caratteristiche organolettiche.
maria — Hanno una complessità diversa: il Riserva è un vino che richiede un affinamento maggiore: aumentando il tempo di affinamento aumentano anche i sentori terziari rilasciati dal legno, le spezie si sentono di più.
Che differenza c’è secondo te fra il Roero e gli altri grandi vini a base nebbiolo (Barolo e Barbaresco)?
CLAUDIO — E’ un vino un po’ più versatile, occupa un suo spazio e non invade quello degli altri. Secondo me il Tanaro unisce Langhe e Roero e non divide: dietro a grandi vini ci sono grandi territori, non è necessario farsi la guerra.
daniele — Rispetto agli altri sicuramente il Roero DOCG si distingue per freschezza, come lavorazione infatti non differiscono molto.
margherita — Il Roero DOCG è a mio avviso più bevibile, più facile, anche per una questione di gioventù del vino.
Il Barolo e Barbaresco al palato sono più fini rispetto invece al Roero che invece è più grasso e pieno. Anche il terreno contribuisce molto per creare il gusto finale del prodotto.
maria — Per il Roero, nelle degustazioni che facciamo con anche esperti, vengono notate soprattutto caratteristiche di finezza uniche, presentando dei tannini, in linea generale, più morbidi ed equilibrati.
Quali sono le difficoltà che incontri nella lavorazione e nella coltivazione delle uve? E nel processo di vinificazione? E sul mercato?
CLAUDIO — La Langa la conoscono già parecchio, sono arrivati molto in alto, in Roero siamo invece un pelino indietro perché siamo nati dopo, anche a livello di denominazione.
Il nebbiolo è un’ uva soggetta al cambiamento climatico, in questi ultimi tre anni abbiamo assistito a una grande siccità e per fortuna questi ultimi giorni ha piovuto. Abbiamo accolto questo evento come manna dal cielo!
Il cambiamento climatico cambia anche la caratteristica del vino, logicamente: il sole non è più come quello di una volta, le temperature si sono alzate quindi bisogna fare un po’ più di attenzione a lasciare grappoli un pelino più coperti dalle foglie perché sono molto delicati.
Il troppo sole poi porta anche all’appassimento delle uve e questo cambia anche il gusto perché si porta a casa dell’uva passa, con una gradazione anche più alta.
Negli ultimi anni si è spostato anche il periodo della vendemmia, anticipandolo: quest’anno il 20 di settembre abbiamo finito di vendemmiare.
Come mercato, il Roero è conosciuto più per il Roero Arneis. Bisogna quindi che venga data una spinta maggiore al Roero DOCG perché ha ancora tante carte da giocare.
daniele — Ormai non riscontriamo grandi difficoltà nella lavorazione: ogni anno facciamo la raccolta di grappoli di prova, li portiamo in laboratorio e si vede cosa si riesce ad ottenere. Solitamente poi si fa un piccolo diradamento e si inizia la vendemmia.
Tempo fa tenevamo i filari perfettamente tagliati e precisi, adesso invece li lasciamo più “liberi” per permettere di fare più ombra possibile.
Per le piogge invece abbiamo seminato l’erba per far sì che la rugiada del mattino rimanga il più possibile nel terreno.
Passando al mercato, il Roero è poco conosciuto. Tutto il mondo conosce il Barolo, come nomea e fama, perciò bisogna continuare a far conoscere questo prodotto, che non è da meno. All’estero vendiamo soprattutto in Belgio, Olanda, Svezia (nei paesi nordici infatti è molto conosciuto perché, paradossalmente, più informati).
margherita — Il cambiamento climatico – non solo per il Roero DOCG, ma per tutti i vini – ci invita ad avere maggior cura nella vinificazione a causa dell’aumento della gradazione nella fermentazione malolattica. Prima era più facile vinificare, oggi, con queste temperature diventa tutto un po’ più complicato.
Sul mercato il Roero sta prendendo sempre più piede e abbiamo notato che le persone stanno iniziando ad apprezzarlo.
Questo avviene in primis perché noi cerchiamo di spingerlo e poi anche per il modo di comunicarlo in generale, soprattutto in Italia.
All’estero preferiscono ancora Barolo e Barbaresco perché sono molto più “famosi” a livello commerciale.
maria — Ormai da qualche anno la siccità porta malattie che stanno rendendo più difficoltosa la lavorazione del campo, tanto che bisogna rivederne anche l’esposizione perché il sole troppo forte rischia di bruciare il prodotto.
Il danno che si provoca alla vite purtroppo si ripercuote nel lungo termine, ma da disciplinare non possiamo bagnare, anche alla luce dei possibili costi scaturiti dall’approvvigionamento idrico.
Dovremo anche iniziare a pensare a degli accorgimenti per non far salire la gradazione alcolica sopra ai 15% vol. Dai 16 ai 17% vol. infatti, è considerato vino liquoroso.
A livello di mercato, le persone non lo conoscono molto, ma il Consorzio sta lavorando molto bene per far sì che emerga a 360° e in tal senso bisogna fare squadra ancora di più.