
Il sacro edificio sorge in riferimento all’attuale piazzetta Vernazza, all’incrocio tra via Manzoni e via Vernazza, con la posteriore delimitazione del vicolo S. Giuseppe.
L’insieme di fabbricati della chiesa fu realizzato, in varie fasi, concentrate tra il 1642 e il primo ventennio del Settecento.
Nonostante l’attuale costruzione sia frutto di ripristini attuati a cavallo tra il IX e il XX secolo, l’esame delle geometrie basilari dell’edificio conferma che la trama generale degli elementi non sia stata alterata nel tempo.
All’interno della chiesa troviamo una cospicua e pregevole dotazione di quadri e sculture tra il XVII ed il XIX secolo.
Cenni storici
La nascita della sede di culto: tra ‘500 e ‘600
La committenza per le varie opere di costruzione, di abbellimento interno e di arredo della sede cultuale si deve alla Confraternita dei Pellegrini che si costituì ad Alba nella seconda metà del Cinquecento con riferimento alla cattedrale di S. Lorenzo.
Venne però ufficialmente riconosciuta soltanto nel 1622 dal vescovo mons. Ludovico Gonzaga.
Il sito prescelto agli inizi degli anni ’40 del Seicento per erigervi la loro nuova sede di culto originariamente era occupato in parte da un settore del teatro romano del I-II secolo e da domus del IV secolo, poi da costruzioni medievali e post-medievali, fra cui una torre urbana.
L’accurato scavo archeologico, diretto dalla competente Soprintendenza statale, ha consentito il confacente recupero di molti reperti di varie epoche e la successiva realizzazione del sotterraneo percorso di visita.
Le Regola della Compagnia dei Pellegrini risale al 1638, ma viene approvata ufficialmente dal vescovo di Alba soltanto nel 1643 ed il testo è stampato nel 1649. Questa regolamentazione operativa del sodalizio, come pure la recita dell’«officio» della Beatissima Vergine vengono adottate ancora nell’oratorio di S. Antonio, sacro edificio d’origine medievale, assegnato ai confratelli quale prima sede autonoma.
La Compagnia, che diverrà Arciconfraternita, nel corso dei secoli ha annoverato fra i propri priori varie personalità salienti in città, fra cui il conte architetto Carlo Francesco Rangone, l’erudito barone Giuseppe Vernazza, il canonico Felice Allaria.
Il Seicento e la nascita dei fabbricati
L’insieme di fabbricati della chiesa di S. Giuseppe fu realizzato, in varie fasi, tra il 1642 ed il primo ventennio del XVIII secolo.
Fra il 1640 ed il 1642 datano i primi atti tra la Compagnia dei Pellegrini e le maestranze che verranno impegnate nei lavori.
Del 1642 sono le richieste di autorizzazione per l’edificazione rivolte al vescovo di Alba, mons. Paolo Brizio, tra le quali emerge la promessa di «far la chiesa come dispongono i Sacri Constituzioni Synodali et Conseglio di Trento».
Fa seguito il pagamento di un disegno e di un «calcolo della spesa» (purtroppo perduti) eseguiti dal capomastro da muro Giovanni Angelo Finale (del quale finora è noto un modesto lavoro a Castagnito nel 1682 e da un suo collaboratore, forse l’altro capomastro progettista Carlo Francesco Finale di Castagnole delle Lanze.
Nello stesso anno 1642 comincia la trattativa per la costruzione della prima torre campanaria.
Soltanto il 14 maggio 1645 il vescovo mons. Brizio permette «di fabbricarsi un campanile, e di tenervi una campana», la quale, si intende, servirà esclusivamente «per convocare i fratelli». Nella tavola del Theatrum Sabaudiae del 1675 e nel dipinto Veduta della città di Alba (seconda metà degli anni ’80 del Seicento) l’«Oratorium S. Joseph Societatis Peregrinorum» appare ancora dotato di quel tozzo campanile posizionato nella parte posteriore del sacro edificio.
Nel 1656 devono ritenersi del tutto concluse le operazioni corrispondenti alla costruzione del corpo principale della chiesa e della sacrestia.
In quell’anno la Confraternita dei Pellegrini si trasferisce solennemente dall’oratorio di S. Antonio al S. Giuseppe.
Rimangono escluse le cappelle laterali, la cui realizzazione comincerà solo negli anni ‘80 del secolo XVII, patrocinate sia dal vescovo di Alba mons. Della Chiesa, sia da alcuni fra i maggiori esponenti del patriziato locale.
Il Settecento e le ultime costruzioni
Ancora più tarde sono la cappella a pianta pentagonale del SS. Crocifisso, della quale si hanno testimonianze documentarie tra il 1710 ed il 1720, e la ricostruzione dell’altare maggiore nel 1813.
L’erezione dell’elevato campanile sul fianco della chiesa, iniziata nel 1689 su disegno progettuale «venuto da Torino», proseguirà gradualmente nel Settecento fino a concludersi solo nel 1829.
L’Ottocento e le opere d’arte
Tra le opere d’arte realizzate per la chiesa durante l’Ottocento si rilevano lavori del misconosciuto pittore albese Lodovico Luigi Cealanza, nella prima metà del centennio.
Nel 1833 egli esegue per l’interno un quadro con l’«Imagine della Concezzione pittura a oglio» (secondo quanto si legge in un documento dell’epoca), odiernamente non più reperibile.
Sulla parete dov’era la pala settecentesca con La Madonna addolorata, San Giovanni Battista e San Luigi Gonzaga (purtroppo anch’essa rubata, come vari altri dipinti, sculture, arredi nella chiesa e nei locali annessi) è ricomparsa la firma del Cealanza, con la data 1843. Egli realizza in quell’anno la decorazione pittorica delle pareti intorno all’altare laterale di S. Giovanni Battista.
Vanno pure segnalate le statue in legno dipinto per il Presepe, nonché quelle della Madonna Addolorata e di San Giovanni Evangelista, realizzate nel 1885-1887 dallo scultore tirolese Ferdinando Demetz. Purtroppo anch’esse sono state rubate.
L’età moderna
L’attivismo dell’«Arciconfraternita dei Pellegrini d’Alba» è documentato sino al 1953.
Negli anni successivi avviene la cessazione definitiva dell’operosità del sodalizio; pertanto la spettanza del sacro edificio è trasferita al Capitolo della Cattedrale e poi alla Parrocchia del duomo di S. Lorenzo.
Nel 1995 viene affidata all’Associazione “Proteggere insieme” di Alba, che dal 1996 al 2002 meritoriamente provvede agli impegnativi, accurati lavori di scavo archeologico e di restauro della chiesa.
Dal 2002 la gestione è trasferita al Centro culturale San Giuseppe.
La struttura architettonica

La facciata
Il fronte della chiesa oratoriale si presenta secondo lo schema più tradizionale: cioè un doppio ordine compartito da lesene in sporto.
I settori sono impostati su zoccolo continuo e sormontati da un frontone unitario di lineamento triangolare.
Benché l’attuale costruzione sia frutto anche di ripristini attuati nel 1859 e nel 1939, l’esame delle geometrie basilari del sacro edificio consente di ritenere che la trama generale degli elementi non sia stata alterata nel tempo.
La facciata ha quasi tutte le caratteristiche per essere assegnata al pre-barocco piemontese.
Tanto negli elementi costitutivi quanto nelle proporzioni, essa può essere confrontata con la chiesa del Corpus Domini (di Ascanio Vittozzi, Carlo e Amedeo di Castellamonte, 1608-1630) o quella dei Santi Martiri (di Pellegrino Tibaldi, 1577), entrambe a Torino, oppure con quella di Cherasco dedicata a S. Agostino (di Giovenale Boetto, 1672).
Perciò la progettazione dei capomastri finale, soprattutto ad opera di Carlo Francesco, del quale sono note realizzazioni e consulenze per sacri edifici nel Roero dal 1650 al 1678, risulta abbastanza aggiornata, pur semplificando localmente modelli à la page.
Il portale d’ingresso
Al centro della facciata si apre il portale d’ingresso, rettangolare, con architrave e stipiti d’impronta manierista.
Gli ornati intorno alla porta seicentesca, molto simili a quelli della boettiana chiesa di Cherasco, costituiscono una cornice, terminata all’esterno con una cima rovescia e all’interno con un listello perlato che avvolge gli stipiti e ruota sull’architrave.
Il frontone, appoggiato sull’architrave e con fascia variamente modanata ed andamento mistilineo, rimanda a schemi tipici del Seicento.
Oltre la trabeazione dell’ordine inferiore si elevano le lesene superiori, cui segue la relativa trabeazione e quindi il timpano.
Tra le due articolazioni esterne è inserita un’ampia finestra serliana.
Il finestrone e le nicchie
Il finestrone è retto da quattro semicolonne incapsulate in pilastrini rettangolari che conferiscono maggior pesantezza all’insieme.
Sopra l’archetto centrale, concluso con una fascia modanata che continua a mo’ di architrave anche sui lati, si imposta poi un piccolo timpano leggermente avanzato rispetto alla parete di fondo, quasi a suggerire la forma di un’edicola.
Pertanto la finestra è inclusa in uno sfondato dai lineamenti quadrati che, sottolineandone la dignità, la collega all’architrave dell’ordine superiore.
Sempre nel settore alto, al centro degli spazi laterali tra le lesene, sono ricavate due nicchie originariamente destinate ad ospitare statue. Hanno la solita cornice modanata e sono concluse con calotte a valve.
Il campanile
Il campanile complessivamente è alto 64 metri. Nel 1774 viene modificato il suo coronamento in sommità, aggiungendovi la cuspide di gusto tardo-gotico.
Si caratterizza come una slanciata costruzione realizzata con muratura in mattoni a vista.
Presenta un ideativo disegno unitario, riscontrabile in altre realizzazioni coeve, sia nella ripetizione del doppio ordine con bugne angolari, sia nell’elegante slancio verticale della cella campanaria soprastante.
L’elemento terminale del campanile, a forma di cipolla, è in laterizio.
Il primo ordine della costruzione è caratterizzato da tredici bugne angolari, sovrapposte e si presenta privo di finestre o aperture più larghe di una feritoia.
Il secondo ordine è eretto con propria base, supera il primo cornicione e svetta oltre il tetto della chiesa. Questo presenta un partito di sole dieci bugne angolari e una apertura a forma allungata con propria cornice in rilevo su ogni suo lato.
Altre opere d’ultimazione in sommità del campanile vengono concluse solo nel 1839.
La struttura interna e i rapporti geometrici
L’interno della chiesa di S. Giuseppe appare come un unico ambiente caratterizzato da una navata longitudinale voltata a botte, a cui si addossano lateralmente, più o meno fino a metà, due coppie di cappelle.
Oltre le cappelle, la sezione della navata si restringe appena di un sedicesimo e, con l’interposizione dei tre gradini canonici seguiti da balaustra, prosegue nel presbiterio e quindi nel coro.
Tra queste due ultime unità è posto l’altar maggiore, isolato sotto un arco trionfale e seguito sul fondo da una ricca ancona lignea che occupa quasi tutta la parete terminale.
La distinzione tra le diverse unità è ottenuta mediante il solo inserimento di gruppi di lesene.
Tra il coro e il presbiterio si ripete poi un ulteriore gruppo di passaggio, seguito da uno angolare verso la parete di fondo.
L’equivalenza formale tra i due gruppi di passaggio tra aula e presbiterio e tra presbiterio e coro invita a “leggere” questi due ultimi ambienti come una successione di spazi che, seppure racchiusi entro una sezione trasversale unitaria, vogliono mantenere una forte distinzione reciproca.
Anche le cappelle laterali sembrano partecipare al gioco di rapporti geometrici che sottostà al disegno d’insieme. Infatti è possibile includere tutta la parte principale della chiesa, aula e cappelle, entro un quadrato regolare.
Unghie finestrate, finestre e serliana
Allo stesso criterio di unità risponde anche il gioco distributivo delle unghie finestrate delle volte, che hanno uguale forma e dimensione nonostante affaccino su ambienti di diverso significato.
Le grandi finestre rettangolari a metà dei muri laterali del coro, originariamente ripetute anche nel presbiterio, senz’altro rispondono pure all’intento di rendere maggiormente luminosa la zona oltre l’aula.
Nel crescendo della luminosità si inserisce infine la serliana sul fondo, simile a quella sulla facciata e fonte di un forte controluce rispetto all’aula. Essa sarebbe alquanto inopportuna se non fosse stata diaframmata tramite l’elevato elemento decorativo che era sull’altare maggiore.
Così inserita, invece la serliana contribuisce a distinguere ulteriormente lo spazio del coro da quello del presbiterio.
Il frammento scultoreo
Una segnalazione particolare va ancora espressa per un’antica testimonianza visibile all’esterno. Sul fianco della chiesa prospiciente via Manzoni si nota, conficcato nella muratura in mattoni a vista, un piccolo bassorilievo rotondo.
Il frammento scultoreo in pietra rappresenta un angelo a mezzo busto in una cornice quadrilobata.
È evidente che si tratta di un recupero da un altro edificio qui preesistente oppure da una vicina sede di culto già in rovina (o del tutto perduta) a metà Seicento (Santa Maria del Ponte? Santa Maria del Tempio?).
L’opera risale ad un’epoca alquanto imprecisabile, forse prospettabile tra l’ultimo quarto del XIII e la prima metà del XIV secolo.
La sua collocazione in questa parete esterna è verosimilmente avvenuta nel 1688, allorché, su commissione del vescovo mons. Vittorio Nicolino Della Chiesa, viene eretta la nuova cappella laterale dell’Angelo Custode.
L’interno

Una cospicua e pregevole dotazione di quadri e sculture tra il XVII ed il XIX secolo è stata disposta e gradualmente accresciuta nella chiesa oratoriale di S. Giuseppe.
Su committenza dell’Arciconfraternita e di singoli personaggi albesi, affreschi, tele dipinte, figure scultoree, arredi liturgici sono stati appositamente realizzati per funzionalità, decoro, fini devozionali nella sede di culto.
Scorrendo le successive fasi di revisione della chiesa e di correlata esecuzione per l’interno, incontriamo artisti, artigiani, varie maestranze che nel tempo hanno lasciato lavori significativi.
Le opere della fase iniziale
In origine, alcune opere (successivamente trasferite nel nuovo edificio sacro) erano state commissionate per l’oratorio di S. Antonio abate, dove il sodalizio aveva la propria sede cultuale dal 1638 al 1656.
Considerando, però, che già dal 1642 la Confraternita dei Pellegrini è impegnata nell’edificazione della nuova chiesa oratoriale di S. Giuseppe, il periodo da considerare per la dotazione di quella prima sede autonoma si restringe ulteriormente.
Va assegnata a quella fase primigenia, oltre a modeste pitture del 1638 eseguite da Gioanni Pietro Aretino e a vari acquisti per paramenti sacri, per arredi liturgici, nonché per la campana realizzata da «Gioanni Andrea Albengo Campanaro di Caramagna», almeno un’opera pregevole, purtroppo rubata nel secolo scorso.
Si tratta dell’ancona dipinta nel 1639 dai saviglianesi Francesco Pistone e Giovanni Claret. Vi erano raffigurati la Madonna col Bambino, San Giuseppe e Sant’Antonio abate.
Nessuna di quelle opere, seppur trasferite nella nuova chiesa oratoriale, ci è giunta.
Anche il quattrocentesco Crocifisso realizzato da un ignoto scultore ligure-piemontese, che è collocato su una parete laterale del sacro edificio in questione, proviene dall’albese chiesa ex conventuale di S. Caterina.
La dotazione della chiesa oratoriale: le cappelle
Ma veniamo alla dotazione del nuovo oratorio della Confraternita, iniziando dai settori di lato. La realizzazione delle cappelle laterali nell’oratorio di S. Giuseppe costituisce un insieme di fasi successive d’intervento.
Cappella dei Ss. Pietro e Paolo
Nel 1687 si cominciano a notare, nelle fonti documentarie, alcune espressioni di volontà circa nuovi lavori per l’edificazione della cappella dei Ss. Pietro e Paolo.
Solo nel febbraio 1691 si può ritenere che il culto dei Santi apostoli Pietro e Paolo potesse avere inizio nella chiesa in questione: infatti a tale data risale un legato del medico Torreri di Corneliano d’Alba, patrono di quella sacra mensa laterale.
Cappella dell’Angelo Custode
A proposito della cappella dell’Angelo Custode, abbiamo invece due notizie del 1688: l’una riguarda il permesso di edificare, l’altra riferisce le prime proposizioni di costruzione.
La Città, infatti, concede alla Confraternita di occupare parte della strada con una costruzione (evidentemente quella della cappella dell’Angelo Custode).
Nel 1691, sei mesi dopo il legato Torreri, anche i Della Chiesa confermano la propria volontà di dedicare al S. Giuseppe una parte del loro patrimonio.
Difatti, con atto del 29 agosto 1691, «il vescovo Vittorio Dalla Chiesa lega alla Confraternita lire mille e vuole che i redditi di esse si spendano in mantenimento della Cappella dell’Angelo Custode da lui eretta».
La sostanziale contemporaneità delle due operazioni potrebbe giustificare anche l’identità formale tra i due altari laterali, i quali sembrano realizzati da un’unica maestranza.
Entrambi constano di una pala di discrete dimensioni, inserita in un’ancona di tipo architettonico, inquadrata in un “tempietto” con due coppie di colonne agli estremi, sormontato da una trabeazione che sorregge un timpano spezzato.
Tra le volute del timpano si nota il fastigio superiore, contenente lo stemma della famiglia dedicataria.
Cappella di San Giovanni Battista
Sull’ultima cappella in senso cronologico, quella intitolata a San Giovanni Battista, non abbiamo testimonianze, se non una data incisa sull’altare, dalla parte dell’evangelo: «1718».
Cappella del SS. Crocifisso
Si devono attendere diversi anni perché la cappella del SS. Crocifisso entri definitivamente in cantiere. Inoltre, essa rivela un’impostazione strutturale del tutto diversa dalle altre.
L’altar maggiore e il “retablo” seicentesco
Da un documento del 1745 si evince che l’imponente apparato decorativo dell’altar maggiore, attualmente collocato sulla parete di fondo, era originariamente posto sopra la stessa sacra mensa.
Costituiva così un importante elemento di interruzione visiva, di separazione, tra il presbiterio e il coro.
Si tratta di un “retablo” seicentesco (c. 1681-1682): una grandiosa macchina lignea in tre parti distinte, che inquadra, al centro, la pala principale realizzata da Giovanni Claret nel 1648 in sostituzione di quella originaria (non più presente, ora con evidenza del sottostante affresco di Casoli del 1754) e, ai lati, due Cariatidi lignee e le statue in nicchia dei Santi Grato e Andrea.
La realizzazione della parte principale dell’opera è attribuita agli scultori Giovanni Battista o Secondo Antonio Botto.
Nel fastigio superiore al settore centrale, è inserita una raffigurazione pittorica del Padre Eterno, dipinta dall’Operti nel 1755, sovrastata dallo stemma dei conti Rangone di Montelupo Albese, committenti dell’opera.
Purtroppo non si conoscono testimonianze documentarie, relative alla sua realizzazione originaria, fino al 1754-1755, quando il “retablo” fu trasferito dall’altare all’attuale posizione, aggiungendovi pure il fastigio superiore.
La sacra mensa
Quella che odiernamente osserviamo nel presbiterio è la principale sacra mensa, lì realizzata nel 1813 per sostituire integralmente quella preesistente.
I lavori risultano eseguiti dal capomastro Traversa, dallo stuccatore Carlo Piazza e dal minusiere Giovanni Berrino.
È evidente che il suo riposizionamento viene ricollegato non solo a una revisione delle ritualità liturgiche, ma pure a una diversa configurazione, comunque più ampia e “riservata”, del coro.
La seicentesca icona principale, il retablo (non più presente), veniva mantenuta al centro della parete di fondo.
Purtroppo l’attuale condizione dell’altare risulta totalmente spogliata di arredi e oggetti liturgici. Invece è rimasta la balaustra che delimita il presbiterio.
Il coro della Confraternita
Il coro della Confraternita, risale al XVII secolo ed è realizzato con legno noce di ottima qualità (i pannelli sono tutti in un unico pezzo).
E’ strutturato con forma di “U” rovesciata ed è posizionato sui muri perimetrali dell’abside della chiesa.
È composto da 36 stalli superiori e da 20 stalli anteriori, delineati da pannelli scolpiti in bassorilievo con motivo a losanga rettangolare, tipico del Seicento in Piemonte.
Presenta, al centro degli stalli superiori, una cattedra priorale, recante la data «1671» e attribuita allo scultore Bartolomeo Botto.
Questa è rialzata con schienale riccamente decorato a intaglio in bassorilievo con motivi floreali.
Tutti i sedili sono ribaltabili con profondi cassoni interni, realizzati con spessi assi di legno pioppo.
Tra i due ordini di stalli è posta internamente un’ampia predella di calpestio, rialzata rispetto al piano pavimento e realizzata in legno rovere.
Le opere di Pietro Paolo Operti
Sulle pareti laterali del coro, oltre alla Finta balaustra e séparé simulato, opera a fresco del pittore guarenese Francesco Casoli del 1754, sono ancora visibili due dei quattro grandi quadri settecenteschi, dipinti su tela.
Sono rimasti soltanto gli originali Sposalizio di Maria Vergine e San Giuseppe, Natività di Gesù Bambino.
Gli altri due, purtroppo non più presenti, sono stati sostituiti da opere recenti. Il ciclo dei quattro quadri del 1755 è attribuito al pittore braidese Pietro Paolo Operti.
Gli affreschi
Le ampie volte dell’aula e del coro della chiesa, nonché la superiore parete di fondo dell’abside, sono interamente affrescate con quadrature e figurazioni.
Si tratta di un esteso ciclo pittorico, realizzato nel 1720 da Vittore De Nicola e Carlo Posterla.
I soggetti principali degli affreschi, oltre alle decorazioni, sono: Angeli musicanti, San Giuseppe e San Rocco in adorazione del SS. Sacramento, Angeli con simboli liturgici, Angioletti in una finta balaustrata circolare.
La statua processionale
Altra opera barocca è la statua processionale, in legno dipinto, raffigurante San Giuseppe (purtroppo privata di Gesù Bambino eretto su un globo).
È attribuita allo scultore torinese Stefano Maria Clemente, eseguita nel 1743.
Gli altari delle cappelle
Ora osserviamo specificatamente le cappelle ai lati del sacro edificio.
L’altare laterale di S. Giovanni Battista
Entrando in chiesa subito si osserva l’altare laterale di S. Giovanni Battista (il primo a sinistra). È stato realizzato nel 1718 a cura della contessa Angela Margherita Alfieri.
Nell’anno successivo (secondo la disposizione testamentaria del marito, conte Giovanbattista, confratello dei Pellegrini) ella costituisce pure una dote per la celebrazione della festa annuale del Santo titolare.
Purtroppo, odiernamente non sono più visibili, poiché trafugati, sia la pala settecentesca con La Madonna addolorata, San Giovanni Battista e San Luigi Gonzaga attribuita all’artista Giovanni Carlo Aliberti, sia il paliotto in legno dorato.
Il recente restauro ha rimesso in evidenza sulle pareti i fregi a fresco realizzati nel 1843 dal pittore albese Lodovico Cealanza.
La settecentesca pala trafugata è stata sostituita nel 2009 con un’opera su tela del pittore Silvio Rosso.
L’altare laterale dell’Angelo Custode
E’ situato a sinistra dell’ingresso, dopo quello dedicato a S. Giovanni Battista, l’altare laterale dell’Angelo Custode.
Originariamente viene realizzato tra il 1687 ed il 1689, su prestigiosa committenza del vescovo di Alba mons. Vittorio Nicolino Della Chiesa (presule in città dal 1667 al 1691).
In quasi due anni vengono attuati non solo gli interventi strutturali, ma sono pure compiuti la sacra mensa, gli apparati liturgici, le decorazioni.
La seicentesca pala sull’altare, rappresentante L’Angelo Custode attribuita al pittore cheraschese Sebastiano Taricco (purtroppo derubata), era inserita in una pregevole ancona lignea, forse scolpita da Giovanni Battista o Secondo Antonio Botto, poi indorata nel 1698-99 da Giovanni Battista Birago. È stata sostituita con un dipinto recente.
Lo stemma del vescovo committente è ancor visibile sull’arco superiore e sul fastigio della medesima ancona.
Le seicentesche decorazioni pittoriche, osservabili sulle pareti, risultano ridipinte prima nel 1872 poi ancora dall’albese Fedele Finati nel 1935.
L’altare laterale intitolato ai Ss. Pietro e Paolo
Il secondo altare laterale, a destra dell’ingresso, è intitolato ai Ss. Pietro e Paolo apostoli. E’ stato il primo ad essere realizzato all’interno dell’oratorio.
Viene inserito nel 1687-88, su committenza del medico Pietro Paolo Torreri di Corneliano d’Alba, allora priore della Confraternita dei Pellegrini.
Sulla sacra mensa, tra un ricercato impianto barocco con colonne tortili e cariatidi sorreggenti un timpano spezzato, campeggiava la seicentesca pala raffigurante La Madonna col Bambino, i Santi Pietro e Paolo, attribuita al pittore cheraschese Sebastiano Taricco (purtroppo trafugata).
In alto, al centro della preziosa struttura lignea, è ancor visibile lo stemma dei Torreri.
Gli affreschi sulle pareti, con la raffigurazione del martirio dei due Santi titolari e varie decorazioni, sono ricollegabili alla fase d’impianto originario. Sono attribuiti anch’essi al cheraschese Taricco.
Invece l’arcone soprastante (in cui, fra l’altro, è ravvisabile lo stemma dei Torreri) è stato già ridipinto dall’affreschista De Nicola nel 1721, poi ripristinato dall’albese Finati nel 1935.
Il vicino pulpito ligneo è un ottocentesco arredo della chiesa. L’originaria pala seicentesca è stata sostituita da un dipinto recente.
L’altare laterale dedicata al SS. Crocifisso
La costruzione dell’ultima cappella laterale (la prima entrando a sinistra), quella dedicata al SS. Crocifisso, viene deliberata dalla Confraternita nel 1710, ma i lavori realizzativi e di decorazione iniziano solo nel 1711 e sono terminati nel 1715.
L’impianto a pianta pentagonale, progettato dal «Comendatore» ingegnere Filippo Domenico Petitti di Cherasco, contiene un considerevole altare barocco, realizzato in mattoni con ricercate finiture esterne in stucco dipinto a finto marmo.
La sacra mensa è soprelevata rispetto al livello del pavimento del sacro edificio, essendo raggiungibile su una gradinata.
Vi sono osservabili: sull’altare un pregevole Crocifisso ligneo, realizzato nel 1709 da un ignoto scultore milanese (parzialmente snodato nelle braccia per lo svolgimento del rituale del «Funerale di Cristo» durante le annuali cerimonie religiose del Venerdì Santo) ed una settecentesca statua lignea della Madonna addolorata, collocata in una nicchia laterale.
La volta della cappella, a padiglione con pianta pentagonale, risulta affrescata da un ignoto pittore verso il 1716-1718, con la rappresentazione di fregi modulari e di Angioletti con i simboli della Passione. Li ha ridipinti l’albese Fedele Finati nel 1887.
Altre sculture e quadri sono opere recenti.

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