Il Roero è una terra di segreti antichi posizionata alla sinistra del Tanaro, dove ogni vigneto racconta una storia diversa e ogni bottiglia custodisce un frammento di passato da scoprire. E’ qui che nasce il Roero DOCG.
Questo vino, ottenuto da uve nebbiolo, non si lascia certo intimorire dai suoi più noti confratelli, anzi si eleva in maniera discreta, ma elegante, tra i calici delle persone più curiose.
Abbiamo intervistato i produttori che lo producono: siete pronti a farvi incantare dal fascino misterioso di questo vino?
Intanto, cogliamo l’occasione per ringraziarli di aver condiviso con noi il loro sapere: Silvia e Giacomo Barbero di Canale, Fabrizio Battaglino dell’omonima cantina di Vezza d’Alba e Alessandro Allerino di Cascina Goregn di Castagnito.
Che tipo di vino è secondo te?
SILVIA E GIACOMO — Il nebbiolo segue un disciplinare ben preciso per essere chiamato Roero DOCG. Il tipo di terreno del Roero, a differenza della Langa, è sabbioso e ricco di minerali e fossili, questo incide molto sulle caratteristiche del frutto.
ALESSANDRO — Essendo un nebbiolo del Roero, è affinato in legno 18 mesi. Si può definire molto elegante a livello olfattivo, ha profumi molto importanti, in bocca è fine, fresco, dal sorso piacevole e non troppo corposo pur facendo 14 gradi.
FABRIZIO — Il Nebbiolo della sinistra del Tanaro è meno “strong”, meno strutturato di quello delle Langhe: nei terreni del Roero c’è maggior presenza di sabbia, che dona eleganza e più bevibilità.
Anche noi roerini ci teniamo ad avere però un nebbiolo di una certa importanza, ecco perché abbiamo mantenuto la doppia denominazione: Nebbiolo d’Alba per un consumo quotidiano e Roero per elevarci un po’. Lo produco con le uve della mia vigna più vecchia ed esposizioni migliori proprio per dare più struttura.
Come disciplinare cambia l’affinamento: il Nebbiolo d’Alba affina un anno, mentre il Roero 20 mesi, di cui almeno una parte in legno.
Perché ti piace?
SILVIA E GIACOMO — Il Roero DOCG, ci piace perché adoriamo il nebbiolo, l’uva rossa ci piace tantissimo.
Siamo cresciuti con il nebbiolo e pensiamo che il territorio del Roero dia delle note ancora più particolari al prodotto finale, per esempio, la salinità e l’eleganza. Quando diventa Roero poi, lo è ancora di più!
ALESSANDRO — Le sue caratteristiche di finezza in bocca non lo rendono “grasso” o troppo complesso, non stanca mai e ha un sorso di grande equilibrio.
FABRIZIO — E’ un vino a cui non produttori del Roero crediamo fortemente perché il vitigno nebbiolo è il vitigno principe, capace di esprimere diverse sfaccettature sia durante la vinificazione, sia in bottiglia che poi nel bicchiere.
Quindi è un piacere che muta nel tempo: i profumi, i frutti, le spezie e la sua complessità vengono fuori lasciandolo ossigenare.
Con cosa lo abbini?
SILVIA E GIACOMO — A formaggi erborinati o molto stagionati, a delle carni lavorate, anche impegnative. Noi, nelle nostre degustazioni lo serviamo con un pezzettino di cioccolato fondente – anche al 99% per chi ce la fa – che avvolge proprio bene il palato creando un abbinamento unico!
ALESSANDRO — Con la carne, principalmente la selvaggina: cinghiale, capriolo, ma anche un coniglio. Oppure affettati e primi piatti con sugo di arrosto.
FABRIZIO — Avendo questa componente tannica abbastanza importante, che aiuta a sgrassare e a pulire il palato, quindi direi carni rosse come guancia o il brasato, l’arrosto, la tagliata, ma anche a dei formaggi.
Che differenza c’è tra quello normale e il Riserva?
SILVIA E GIACOMO — Il Roero Riserva è quello che conosciamo maggiormente perché è quello che lavoriamo nella nostra cantina, in botte grande (dove ci rimane per almeno 3 anni) diventando un vino di grande fascino.
ALESSANDRO — Noi consideriamo “normale” il Nebbiolo d’Alba, che affina in cemento o in botti di legno esauste; mentre il nostro Roero, affina 18 mesi in tonneau (un legno più piccolo, che rilascia note di tostato, spezie e sentori terziari), quindi risulta più morbido, con tannini meno aggressivi.
FABRIZIO — Prima parlavamo del fatto che il Nebbiolo d’Alba faccia un anno di invecchiamento – non importa se legno, acciaio – il Roero 20 mesi, di cui almeno 6 in legno.
Il Riserva richiede un ulteriore affinamento di un anno perché magari, il produttore, ricerca una struttura più importante e quindi deve essere ammorbidito un po’ di più. Il risultato è pertanto un vino più longevo.
Che differenza c’è secondo te fra il Roero e gli altri grandi vini a base nebbiolo (Barolo e Barbaresco)?
SILVIA E GIACOMO — Barolo e Barbaresco sono vini importanti ed eleganti, ma molto impegnativi alla beva. Il Roero DOCG invece, date le sue caratteristiche anche sapide, non ti stufa mai e ti invoglia a continuare a berlo.
ALESSANDRO — Il Barolo, a mio avviso, è un vino pieno a livello di grassezza: ha un invecchiamento più lungo con sentori legnosi molto più marcati. Il Roero è più fine e, per certi versi, simile al Barbaresco.
Si tratta molto di composizione del terreno e della lavorazione delle uve: un Roero vinificato bene è all’altezza di un Barbaresco.
Castagnito è nell’estremo est del Roero, con terreni sabbiosi, ricchi di giacenze di calcare, marne e minerali, mentre quelli delle Langhe – nella zona del Barolo – sono più argillosi.
FABRIZIO — Nel 1985, quando è nata la denominazione Roero, il nostro desiderio era quello di creare un Nebbiolo più importante. Infatti, veniva chiamato nebiolin, non in senso dispregiativo, sia chiaro, ma nel senso che era un vino beverino, da quotidianità.
Per cui, con il Roero DOCG abbiamo fatto un passo ulteriore per provare a equipararci a Barolo e Barbaresco. La differenza sostanziale sta nel territorio: nelle Langhe, alla destra del Tanaro abbiamo questa argilla che da’ maggiore struttura e austerità mentre a sinistra del Tanaro la sabbia, che dona eleganza e bevibilità.
Quali sono le difficoltà che incontri nella lavorazione e nella coltivazione delle uve? E nel processo di vinificazione? E sul mercato?
SILVIA E GIACOMO — Nel vigneto, soprattutto in questi ultimi anni, non è facile trattenere l’acqua nel terreno: data la sabbiosità e i pendii scoscesi, la poca acqua fa fatica a rimanere nella terra quindi c’è un drenaggio molto veloce.
Stiamo assistendo a un vero stress idrico, ma questa è l’unica criticità che ho riscontrato negli anni in cui ho lavorato – dal 2016, parliamo perciò di 8 vendemmie.
In cantina, il nebbiolo si vinifica in totale facilità, in campo può avere delle rese basse ma poi la sua lavorazione sopperisce a questo problema.
Per quanto concerne il mercato, cerchiamo di comunicare al meglio le caratteristiche di questo vino: è un po’ più facile alla beva e ha questa nota fruttata che dona una gioventù più evidente rispetto a un Barolo o un Barbaresco.
Il nostro Roero fa fino a 3 anni in botte grande, quindi la lavorazione è simile al Barbaresco e come mercato di riferimento, prima del Covid vendevamo molto in Olanda, Germania, Danimarca e anche un po’ in Giappone; invece adesso il 70% del nostro mercato è nazionale e il 30% estero, con l’introduzione anche degli Stati Uniti.
ALESSANDRO — Per quello che riguarda la vinificazione, sono difficoltà operative, perché siamo una piccola cantina famigliare. In vigna, invece, le difficoltà maggiori sono dovute al clima e alle malattie come la flavescenza e il mal dell’esca a cui il nebbiolo non è mai stato troppo sensibile se non negli ultimi anni. Il loro propagarsi così velocemente è dovuto senz’altro alle condizioni pedoclimatiche, che stanno diventando sempre più estreme.
Come mercato, trovo che i clienti esteri siano meno “condizionati” dalle mode, ma più dalle loro abitudini quotidiane: paesi come Germania o Belgio, sono affezionati ai vini affinati in legno, per esempio. In Italia, la difficoltà maggiore è data dalla competizione con i colossi.
Negli ultimi anni, abbiamo notato che il Roero finisce molto in fretta, nonostante magari ci sia meno conoscenza del prodotto rispetto a Barolo e Barbaresco. Quando si fa notare che sono fatti con le stesse uve, i clienti rimangono spiazzati: è molto importante, quindi, valorizzare questo prodotto e saperlo comunicare per farne apprezzare ancora di più le qualità e potenzialità.
FABRIZIO — Più passa il tempo, più il clima cambia e più noi contadini abbiamo difficoltà. La volontà è di adeguarci anche a un concetto di sostenibilità maggiore quindi utilizzando prodotti meno impattanti a livello chimico, anche per noi produttori che dobbiamo respirarcelo.
Con la siccità purtroppo la pianta va in stress, quindi cerchiamo di trovare delle esposizioni diverse rispetto al passato: una volta era l’ovest, perché il sole del tramonto aiutava il nebbiolo a maturare bene fino a ottobre, inizio novembre; oggi è il lato est o sud-est dove il sole del mattino è meno impattante, perciò la pianta soffre di meno.
In vinificazione, con più sole (e di conseguenza più zuccheri accumulati nel frutto) aumenta la concentrazione di alcool. Fino a oggi siamo stati relativamente fortunati perché c’è stato un buon equilibrio: nonostante il frutto zuccherino, non si sente l’alcool nel vino, ma sentori speziali e fruttati.
Certo, la gradazione sarà anche a 14 gradi ma è cambiato anche il modo di bere, in passato il vino era un alimento, oggi è diventato un piacere per cui è meno impattante, se vogliamo.
Il mercato è la nostra grande sfida perché nel Roero il prodotto di punta è il Roero Arneis, che ha avuto già la sua affermazione.
Il Roero DOCG sta piano piano andando in questa direzione sia in territorio italiano che estero, grazie anche alla crescita dell’enoturismo.