A Sant’Antonio di Magliano Alfieri trascorreva lunghe ed attive estati nella casa paterna della Salina, che volle dipingere a bellissimi motivi di gusto liberty. Qui molti anziani ancora lo ricordano, magro e un po’ curvo, con un cappello a larghe falde ed un grande ombrello a righe rosse, battere la campagna alla ricerca di paesaggi e di frammenti di vita quotidiana. Il pittore collocava il cavalletto all’aria aperta, dove trascorreva interi pomeriggi a sbozzare e, a volte, a terminare i propri quadri dal vero. E così poco alla volta le sue tele si popolavano di casolari rurali, di contadine intente ai lavori sull’aia, di lavandaie chine sull’acqua della Bealera e di bambini giocanti sulle strade e nei prati.Ancor bene lo ricordano le sorelle Penna, seduto al cavalletto per ore e ore presso la Bealera al Banchetto, a Magalla, al Biaròt, ecc., o presso l’abbeveratoio della Piana. Una volta un gruppo di bambini giocava in un prato presso la cascina Sappa, sotto alcune piante di pesco le cui foglie già ingiallivano; poco distante, una chioccia portava i suoi pulcini a bere ad una pignatta colma d’acqua. I bambini avevano vestiti a colori vistosi; Rava accorse, li fermò, sbozzò in poco tempo la scenetta sulla tela per poi rifinirla in cascina. Ma un altro aspetto del nostro pittore va particolarmente evidenziato in rapporto alla comunità locale: quell’attività di ritrattista di popolane e di contadini, che lo rese famigliarmente inserito, lui artista e professore cittadino, nella cultura del borgo. Forse al Rava, come pittore tradizionalista , non importava tanto raggiungere risultati eccezionali ed aristocratici, quanto invece poter operare con efficacia presso le classi popolari, al di là delle egemonie borghesi.
Rava amò i suoi contadini non come chi, riuscito nella vita, ritorna talvolta alle origini nel natìo borgo selvaggio, li amò partecipe genuino delle loro consuetudini, dei loro affetti e della loro stessa parlata, che sempre conservò nel più schietto dialetto locale. E già i contadini avevano posato per il quadro di Sant’Antonio, conservato nell’omonima parrocchiale, una delle sue prime opere maglianesi, dipinta nell’estate del 1904 in parte sull’aia e in parte sul fienile della sua cascina, con la grande calura che faceva sudare il pittore e soprattutto i modelli, costretti per l’occasione in abiti poco estivi.
Tutti gli anziani che abbiamo interpellato ricordano il pittore Rava con simpatia. Egli era un uomo bonario, estroverso, pronto sempre alla battuta scherzosa e stravagante: «I pittori sono come i maiali, valgono solo da morti», era solito ripetere a coloro che gli chiedevano quanto grande fosse la sua importanza. Vogliamo ancora riferire un aneddoto, che può farci meglio capire la personalità del nostro pittore. Era venuto una volta in autunno a vendemmiare con i mezzadri una sua vigna al Cornale. Al ritorno era salito anche lui sulle fascine del rabàst (freno a strascico) legate al carro con la bigoncia colma d’uva, per rallentare la velocità nella discesa. Chi è salito sul rabàst da bambino sempre ricorda la gioia della discesa a strascico. su un mucchio di fascine. E il Rava in quell’occasione proprio si divertì come un bambino: affondava le mani e i piedi nel fango e nello sterco delle mucche per poi, finita la discesa, rotolarsi nella tena e gridare come una creatura felice.
Era anche solito fare delle voci nella vigna e nelle strade e intonare canzoni popolari, spesso sgridato dalla sorella Carmelina, che non trovava confacente quel comportamento alla sua fama di pittore. Questi atteggiamenti ci fanno venire in mente le parole di Gustave Courbet, il grande maestro del realismo francese, parole che sono un po’ la sintesi della sua poetica: «[. ..] Prendere la terra dei campi a manate, odorarla, baciarla, morderla, dare colpi nel ventre degli alberi. scagliare pietre e far buchi nell’acqua, guazzare nei ruscelli, mangiare e divorare la natura.
Autori vari (a cura di W. Accigliaro – F. Fabiano – R. Maggio Serra – F. Traversa – S. Volpe), Giovanni Rava. Vita e testimonianze d’arte, Canelli 2011.
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