Letture golose
Langhe a tavola I piatti estivi della tradizione locale

Parlare di ricette estive partendo dal ricettario tradizionale delle Langhe non è facile.
Se da un lato infatti i piatti della tradizione contadina sono sempre basati sulla stagionalità degli ingredienti, dall’altro dovevano tenere conto del duro lavoro nella campagna, che richiedeva un adeguato apporto di calorie per essere portato a termine.
I piatti della tradizione contadina dovevano sfamare, non rinfrescare.
Non è raro quindi trovare piatti che, se portati a tavola a luglio, ti fanno venire caldo solo a pensarci (anatra di palmina, anyone?).
Ti propongo quindi un’escalation a 3 livelli di “pesantezza”. Dal “light lunch” alla “modalità” nonno attivata.
Dicevamo che trovare qualcosa di davvero light non è facile, ma effettivamente non è neanche impossibile.
Trovare qualcosa di davvero light non è facile, ma neanche impossibile.
Ci sono infatti piatti che possono essere mangiati tiepidi o freddi, a basso contenuto calorico, basati su ingredienti di stagione.
Tradizionalmente serviti caldissimi, ma secondo me apprezzabilissimi anche da freddi o tiepidi, i caponet sono l’epitome del “finger food” langhetto: fiori di zucchini pronti per essere mangiati on the go, ripieni di formaggio, prezzemolo, uova e carne.
Assolutamente da provare, ma difficili da trovare al ristorante, sono però molto facili da preparare anche a casa.
Fresca, economica, facile da trasportare, di stagione, moderatamente calorica e saziante, la frittata era uno dei piatti onnipresenti sulle tavole dei nostri nonni.
Nella tradizione locale, ce ne sono un po’ per tutti i gusti: dalla frittata “rognosa”, preparata con gli avanzi dell’arrosto, a quella con l’erba di San Pietro, a quella a base di Robiola.
La frittata è il multitasking della cucina contadina: buona calda, tiepida, o in tasca
Bianco piemontese dal profumo floreale e fruttato, ma con una bella spalla minerale che lo rende perfetto per accompagnare piatti leggeri, tiepidi o freddi: frittate, formaggi freschi, verdure dell’orto.
Mood: “un bicchiere sì, ma poi torno a lavorare… forse.”
Da qui si comincia a fare sul serio. Non siamo ancora nella zona rossa del pranzo da mietitore, ma ci stiamo pericolosamente avvicinando. È il momento in cui il corpo reclama qualcosa di più consistente, ma la mente – ancora cosciente della temperatura esterna – prova a mantenere un certo equilibrio.
Questa è la tavola del mezzogiorno contadino: non più uno spuntino, ma ancora lontana dalla grande abbuffata. I piatti qui hanno una doppia anima: sono ricchi ma non esplosivi, appaganti ma senza necessità di un’ambulanza digestiva.
Insomma, è quel livello in cui puoi concederti una cipolla ripiena, una saccoccia di vitello o delle fettuccine con panna senza sentirti (troppo) in colpa. L’importante è fermarsi prima del grappino. Forse.
Le cipolle ripiene sono il compromesso perfetto tra la leggerezza di una verdura e la soddisfazione di un ripieno “come si deve”.
Si presentano bene, profumano di buono e sembrano quasi leggere… finché non ne mangi tre. Con il loro mix di carne, formaggio e aromi dell’orto, sono il piatto ideale per chi a pranzo vuole fare sul serio — ma senza bisogno del cambio di maglietta dopo.
Dopo una sfilza di antipasti, siamo finalmente giunti ad un primo piatto, fettuccine con zucchine, basilico e chardonnay.
Nonostante la panna, le zucchine e la spruzzata di Chardonnay rendono il piatto fresco e leggero. Ideale anche per i mezzogiorno più infuocati.
La saccoccia di vitello ripiena è quel piatto che fa subito domenica, anche se è martedì. Una fetta sottile di carne che avvolge un ripieno goloso (uova, prosciutto, erbette…), arrotolata e cotta con pazienza.
Da servire fredda, non è una bomba, ma nemmeno un’insalatina: è il piatto di chi vuole fare bella figura con il minimo sforzo… e il massimo sapore. Sta nel secondo livello con eleganza: impegnativa, ma ancora gestibile senza necessità di siesta post-prandiale.
Rosso quotidiano per eccellenza, con il giusto equilibrio tra frutto, corpo e acidità. Sta perfettamente accanto a piatti “di sostanza, ma non troppo”, come la saccoccia, le cipolle ripiene o una pasta cremosa.
Mood: “un pranzo vero, ma senza bisogno del pisolino coatto.”
Hai superato la merenda contadina e ti sei destreggiato con disinvoltura tra vitelli farciti e cipolle imbottite. Complimenti, sei pronto a entrare nell’Olimpo dei veri mangiatori langhetti: qui si sblocca la modalità Nonno, quella dove non si guarda l’orologio, ma si contano i tajarin nel piatto.
Qui si sblocca la modalità Nonno: non si guarda l’orologio, si contano i tajarin.”
Questo è il regno del sugo che sobbolle per ore, della carne che si taglia con la forchetta e delle porzioni “che tanto c’è ancora posto”. È il pranzo delle grandi occasioni, ma anche della quotidianità contadina: perché dopo una mattinata a battere il grano, altro che insalata.
Se arrivi alla fine, ti aspetta il grappino. Se non arrivi… anche.
Brodo rustico e sostanzioso, arricchito con verdure, riso e quel sapore “di fatica” che ti entra dentro. È uno di quei piatti che iniziano come una coccola e finiscono come un sonnellino.
La mangi pensando: “è solo una minestra”, poi ti alzi dal tavolo lentamente, come chi ha appena finito un pranzo vero. E infatti, lo è.
Il coniglio di Ginòta è una ricetta che sa di domeniche lente, padelle pesanti e nonne che “ne ho fatto solo un po’, assaggialo”. Niente fronzoli: carne rosolata per bene, aglio, rosmarino, vino, e una pazienza contadina che oggi ci sogniamo.
Il risultato? Tenero, profumato, e perfetto per raccogliere il sugo con una montagna di pane. È uno di quei piatti che non ammettono dieta: o si mangia, o si guarda. Ma guardarlo senza assaggiarlo è crudeltà.
Il pollo alla Marengo, nella sua versione piemontese, è tutto tranne che una ricetta da campo militare improvvisato. Qui c’è studio, c’è fondo, c’è sapore. Altro che gamberi e uova: pollo rosolato come si deve, aglio, pomodoro, vino bianco e olio buono. Il tutto cotto con pazienza, finché il sugo non diventa una carezza rossa che grida “fammi la scarpetta!”.
È il piatto che prende il nome dalla storia, ma il sapore lo deve alla campagna. E si merita un posto d’onore al terzo livello: quando a tavola si combatte… ma contro la voglia di smettere di mangiare.
Vigorosa, piena, sempre fedele. La Barbera è la compagna ideale dei grandi piatti contadini: coniglio, pollo alla Marengo, tajarin al sugo e tutto ciò che richiede scarpetta.
Mood: “non si lascia il tavolo finché la bottiglia non è finita.”
Pensavi fosse finita, vero? E invece no. Come ogni gioco che si rispetti, anche la cucina langarola ha il suo livello bonus: quello che si sblocca solo se hai completato tutto il resto — o se ti sei comportato bene durante il pranzo. Qui si entra nel mondo dei dolci della tradizione: semplici all’apparenza, ma pieni di trappole caloriche e soddisfazioni profonde.
È l’equivalente gastronomico di trovare la stanza segreta dietro il muro nel castello di Bowser: ci entri per curiosità, e ci resti per amore.
Sembrano leggere, innocue, quasi un fine pasto detox… ma sono ciliegie ubriache.
Marinate nel vino dolce, profumate e fresche, sono il modo più elegante per chiudere un pranzo senza rinunciare a nulla. Occhio: una tira l’altra, e il bicchiere pure.
Il dessert più diplomatico delle Langhe: piace a tutti, non offende nessuno e si adatta a ogni occasione.
Ma attenzione: la panna cotta fatta bene (quella vera, non quella da busta) ha una consistenza che ti guarda negli occhi e ti dice: “assaggiami ancora”.
Un frutto estivo trasformato in piccola bomba da forno. Amaretti, cacao, uova… e via in forno finché la casa non profuma di “nonna felice”.
I “persi pin” (pesche piene) si servono tiepide, e le vuoi ammodernare, aggiungici un cucchiaio di gelato fianco: il colpo di grazia del livello bonus.
Una via di mezzo tra un budino, un semifreddo e un mistero. La tartàra dòlce è un dessert antico, cremoso e un po’ fuori dal tempo, perfetto per chi ha voglia di scoprire le vere chicche della cucina langarola. Sembra un segreto… perché lo è.
Dolce, frizzantino, aromatico, perfetto con le pesche ripiene, le ciliegie marinate o anche da solo, per chiudere in bellezza.
Mood: “uno per il dolce, uno per me. E poi vediamo.”