Oltrepassato l’abitato medievale di Priero, la provinciale si inerpica fiera, a poco a poco, in una fitta selva boschiva e sorveglia con sguardo contrito l’aggressiva autostrada che le scorre di fronte.
L’auto improvvisamente tossisce più forte, come spaventata da quei tornanti apparentemente sospesi nel vuoto.
Un paio di sterzate secche, da affrontare con prudenza, quindi le prime abitazioni di Montezemolo mi vengono incontro festose e raggianti.
Un’ordinata rotonda abbraccia pressoché l’intera sommità e occorre accostare o svoltare a sinistra per non ridiscendere immediatamente da quell’improvvisata balconata naturale.
Una flebile brezza sorride sfuggente; la sua direzione mi appare indefinibile, ora umida e mite, ora più secca ed algida.
Alzo lo sguardo e noto, forse non a caso, la curiosa insegna del Bar Quattro Venti. Risalgo in auto e mi dirigo verso il centro del paese.
Un’intrigante e originale “MielotecaItaliana” pare stridere con un più esotico e commerciale “West Italy”, ma forse entrambi, dopotutto, si completano, specchio di una società dove le abitudini alimentari più consumistiche si sono ormai fuse a una continua ricerca delle eccellenze locali.
Le case paiono indissolubilmente legate alla provinciale per mezzo di un invisibile cordone ombelicale. Tutto ruota intorno alla strada che diviene così l’anima e l’orologio della quotidianità.
Superato il timido municipio, la visuale si spalanca in un’esplosione di paesaggi, forme e colori strabilianti.
Le vette delle Alpi Liguri e Marittime sorvegliano austere l’intera pianura cuneese, e solo qui, su queste dolci propaggini rialzate al confine con la Liguria, è possibile comprendere l’estensione e la varietà morfologica dell’intera provincia di Cuneo.
Nei pressi della parrocchiale di San Benedetto, posta non a caso ad egual distanza tra le due frazioni, si raggiunge l’acme panoramico, con l’entrata in scena delle boscose irregolarità dell’Appennino.
L’ingresso nella frazione Villa avviene costeggiando un’elegante residenza storica in fase di ristrutturazione, ma ancora una volta è la strada il vero perno centrale di un’ipotetica fotografia.
Un sinuoso cordone argentato protetto dagli edifici antropici che scorre tra una verde parete alberata, anticamera della Riserva Naturale delle Sorgenti del Belbo, e una terrazza panoramica affacciata ora sulle colline ora sull’arco alpino.
L’abitato termina qualche centinaio di metri più tardi e un cartello metallico singhiozza lacrime rugginose.
Giusto il tempo per un’ultima occhiata ad un paese apparentemente inerme, che vive in realtà nella natura e per la natura, sospeso come in ascolto, quasi a voler sottolineare fieramente l’incerta identità tipica di un territorio di confine.