Non si conoscono le origini del vitigno Brachetto. Alcuni autori hanno ipotizzato un’origine francese, precisamente nel Nizzardo (Vitis vinifera niceanenis). Qualche riferimento all’inizio del 1700 quando il Brachetto è citato con il Moscato, tra i vini serviti alla corte dei Savoia. Nel 1833, Lorenzo Francesco Gatta, in una pubblicazione edita dalla Reale Società Agraria di Torino, relativa ai vini del Canadese e Valle d’Aosta, cita il brachetto o rossero, in dialetto rouser o brachet.
Nel 1862 Leopoldo Incisa della Rocchetta, in occasione di un’esposizione di uve, organizzata a Rocchetta Tanaro, elenca il Brachetto nel primo catalogo relativo a 105 varietà di uve. Il riferimento è sempre il Nizzardo, pur evidenziando che è presente in Monferrato da molto tempo. Di fatto, a fine ottocento, nascono, tra gli studiosi, problemi ampelografici. Il Di Rovasenda nell’importante “Saggio di ampelografia universale” cita due varietà di uva brachetto: una piemontese (a sapore aromatico) e una del Nizzardo (a sapore semplice).
A fine ‘800 il Brachetto è coltivato in almeno 60 comuni Piemontesi tra cui 38 nella provincia di Torino e 2 nella provincia di Cuneo. Quando in Piemonte prende il via nell’Astigiano la produzione industriale dei primi spumanti (1865 -1875) si affinano le tecniche per ottenere mosti e vini dolci. Tra i vitigni per spumante in quel periodo è citato anche il Brachetto. Il mercato era soprattutto quello estero.
Iniziano anche i primi studi scientifici a cura di Arnaldo Strucchi, enologo, nonché socio di Carlo Gancia, precisa che il Brachetto è un eccellente vitigno per ottenere vini base spumante. Ma è del 1922 la prima descrizione tecnica del Brachetto. Il prof. Garino Canina, futuro direttore della stazione sperimentale di Asti, così lo descrive:
… tra i vini di lusso, il Brachetto appartiene alla categoria dei rossi dolci ed aromatici: è, infatti, un vino con profumo speciale, moderatamente alcolico e zuccherino, non molto colorito, che per lo più si consuma spumeggiante o spumante.
E’ importante la descrizione sopraccitata; di fatto il Brachetto assume con gradualità l’attuale tipologia, ovvero tendente al dolce. Quindi conserva gli splendidi e caratteristici aromi fiorali: rosa in particolare.
Negli anni ’50
Lavorare il Brachetto e il Moscato, negli anni Cinquanta del secolo scorso, era molto faticoso. Elemento comune la filtrazione con sacchi olandesi, si cercava insomma, pur con limitati strumenti tecnici, di conservare, per quanto possibile, una certa quantità di zuccheri d’uva. La nascita della DOC avviene nel 1969, ma i primi anni di gestione della DOC non furono facili. Anche perché non fu all’inizio molto utilizzata. Inoltre l’Asti conobbe un certo successo e alcuni vigneti si riconvertirono a moscato.
Negli anni ’80 – ’90
Durante gli anni ’80 e ’90 il Brachetto non ha vissuto anni felici. Alcuni vigneti sono stati declassati e, quindi, reimpiantati essendoci dubbi sulla vera entità del vitigno, inoltre il materiale vivaistico, se acquistato incautamente, poteva riservare sorprese. Di fatto, lo strumento principale della DOC, ovvero la garanzia dell’origine dell’uva presentava alcune falle e comunque era troppo limitata.
Nel 1992 nasce, ad Acqui Terme, il Consorzio Tutela Vini d’Acqui con lo scopo di controllare e regolamentare la crescita di questo vino e tutelarne il territorio, programmando la produzione, incentivandone la commercializzazione e con un forte impegno di promozione e valorizzazione sui mercati mondiali. Al Consorzio di Tutela, oggi, aderiscono 17 aziende produttrici, 17 cantine cooperative e 25 aziende di imbottigliamento. Nel 1996 arriva la DOCG per il Brachetto Acqui, di cui il Consorzio di Tutela è stato il principale promotore. L’ottenimento della Docg per questo vino è stata fondamentale. I numerosi controlli previsti per la fornitura dei contrassegni di stato, sono stati importanti per la crescita del Brachetto sia su un piano di qualità sia su un piano dell’immagine. Su queste premesse il mercato ha risposto in modo ottimale e nel 1997 l’uva brachetto raggiunge la cifra, veramente elevata, di 47.000 lire al miriagrammo (4.700 lire al kg). E’ il massimo prezzo raggiunto, da sempre.