Il Dolcetto d’Alba DOC è un vino che conquista al primo sorso. Ma cosa rende questo rosso piemontese così speciale?
Oltre alla sua storia affascinante – che sembra risalire al 1500 -, alla sua assoluta versatilità e capacità di accompagnare i migliori piatti della tradizione piemontese, abbiamo voluto scavare in profondità, facendoci svelare qualche segreto dai produttori di questo vino unico. Siete pronti a brindare con noi?
Ringraziamo Cecilia Monte dell’omonima cantina di Neive, Franco Ariano, titolare di Cascina Fontanette di Santo Stefano Belbo e Marco Rosselli dell’Azienda Agricola Rusel per averci dedicato il loro tempo!
Quali sono le peculiarità principali che lo contraddistinguono dagli altri vini della zona?
CECILIA — E’ un vino fresco, che va bevuto giovane – generalmente si beve in annata.
Noi tendiamo a non fargli superare i tredici gradi e mezzo di alcool, quindi si può consumare addirittura anche a merenda!
Inoltre, ha dei tratti molto caratteristici: note di pepe bianco e mandorla, tipiche del Dolcetto e assenti in altri vini del territorio.
franco — E’ un vino più amabile e profumato rispetto alla Barbera. Risulta piacevomente beverino perché ha una bassa gradazione alcolica.
marco — La tipicità dei profumi, la morbidezza e la facilità di beva. La sua gradazione alcoolica va dai 12 e mezzo ai 13.
E’ un vino che se bevuto troppo giovane o troppo vecchio è sprecato: credo che il momento migliore per apprezzarlo vada dall’estate dopo la vendemmia a quella dell’anno successivo.
Già a un anno dalla vendemmia vera e propria, a mio avviso, si avverte un calo nei profumi e nella struttura.
Quali sono le sfide più importanti nella produzione di questo vino?
CECILIA — Indubbiamente è un’uva difficile da gestire, sia nel vigneto che in cantina, perché presenta spesso delle “deviazioni” che si devono evitare per non trovare delle puzze in bottiglia.
Dal punto di vista economico, è certamente il vino meno redditizio che abbiamo a livello di produzione per ettaro.
Se ci si dovesse soffermare sul conto finale converrebbe convertire il vigneto in altri vitigni (come barbera o nebbiolo), anche perché, essendo conosciuto sul mercato come un vino “semplice” e da pasto, ci si va a scontrare con fasce di prezzo medio basse. Io comunque voglio continuare a crederci perché fa parte della nostra tradizione.
Tra poco lo dovremo vendemmiare (presumibilmente tra il 7 e il 15 di settembre) e immaginiamo una vendemmia classica: di uva ce n’è e la resa dovrebbe essere più che buona, però siamo in ritardo di una decina di giorni rispetto alle annate passate.
Inoltre, il dolcetto patisce le basse temperature notturne, quindi c’è da sperare che non calino troppo.
franco — Una volta il nostro problema, dal punto di vista climatico, era dettato dal freddo.
Di questi tempi, invece, ci preoccupa di più l’innalzamento delle temperature: avendo però una buona attrezzatura in cantina, riusciamo a fare la fermentazione a temperatura controllata e a gestire meglio questa problematica.
Verso metà settembre inizieremo con la raccolta delle uve e prevediamo sia un’ottima annata: ha piovuto tanto in primavera e molto poco in estate, quindi la qualità dovrebbe essere buona.
marco — Dal punto di vista climatico, il dolcetto è un vitigno sensibile al sole e al troppo caldo, quindi va in concentrazione molto presto.
L’umidità prima della vendemmia o i temporali con grandinate, arrecano al dolcetto più danno rispetto ad altre varietà perché se la buccia si rovina parte subito il marciume e ciò limita la maturazione.
E’ un’uva che va lavorata molto, sia in vigna che in cantina, per evitare che arrivino “puzze” che lo danneggino.
Noi la raccoglieremo dal 10-15 settembre in avanti, e quest’anno e prevediamo una qualità molto buona: siamo riusciti a evitare la grandine e controllare le eventuali malattie fungine, quindi il prodotto è bello.
Dal punto di vista degli abbinamenti, quali possono essere le scelte migliori?
CECILIA — Essendo un vino da consumo quotidiano, si abbina bene con molti piatti, ma soprattutto con un buon vitello tonnato, un salume del territorio oppure una toma!
franco — Io lo abbinerei alle carni bianche, con gusti non troppo forti, tipo pollo o tacchino.
marco — Io amo accompagnare questo vino alla carne cruda (sia all’albese che tartare) perché è solitamente scarso di acidità e non sovrasta i gusti. In alternativa, sono perfetti anche gli antipasti freddi o caldi, come flan e fonduta.
Sul mercato, nazionale e internazionale, che tipo di opportunità presenta?
CECILIA — Noi il Dolcetto lo vendiamo principalmente in Piemonte; ne esportiamo molto anche in Inghilterra e in Giappone (qui per una questione di bassa tolleranza all’alcool).
marco — Il Dolcetto piace, anche se il consumatore non lo conosce molto. Se l’importatore o l’enoteca desiderano commercializzarlo, si vende molto bene, ma di Dolcetto se ne produce molto poco e i locali preferiscono proporre altri vini perché hanno più margine di guadagno.
Inoltre, il mercato, sia italiano che mondiale, è focalizzato verso vini più strutturati e meno semplici, con una alcolicità più alta, come Barbera e Nebbiolo.
Si vende principalmente in zona e nelle regioni limitrofe, come Lombardia e Liguria, perché è visto come il vino piemontese più economico. I ristoranti, però, faticano a gestire le loro cantine perché deve essere consumato entro l’anno.
Che futuro prevedi per questo vino?
CECILIA — Auspico che torni a essere ricercato come lo era 30 anni fa. Ormai non siamo molti a produrlo, soprattutto nella zona delle Langhe: più che una previsione è una speranza!
franco — E’ un vino in ripresa in confronto al passato. In questi ultimi anni si è dato più spazio a Barbera, Nebbiolo, vini più forti.
Adesso abbiamo riscontrato una svolta in cantina, perché essendo molto versatile si vende bene ed è anche recepito nella maniera adeguata dal cliente finale, fortunatamente.
marco — E’ un vitigno che è stato estirpato in maniera massiva negli ultimi anni per cui, arrivando a farne poco, diventerà buono e caro!