Il legame tra il vino e la religione cattolica ha una storia millenaria. Insieme all’ostia consacrata che ne raffigura il corpo, il vino è simbolo del sangue di Cristo e la sua importanza liturgica è sottolineata durante la celebrazione della Messa con il sacramento dell’Eucaristia. E questo lo sanno tutti.
Tantissimi immaginano che il colore del contenuto del calice sia rosso, ma non è più così dal 1565, data del Sinodo di Milano.
In pochi sanno che il vino protagonista delle cerimonie religiose è il Moscato, un bianco conosciuto per le sue caratteristiche aromatiche tipiche.
Dove nasce il Moscato da messa
Ci troviamo a Santo Stefano Belbo, un territorio noto per aver dato i natali al celebre scrittore Cesare Pavese e per i suoi bellissimi paesaggi vitivinicoli nati già in epoca medievale grazie alla lungimiranza e alla dedizione per l’arte vinificatoria dei monaci benedettini.
Bibite frates ne diabolus vos otiosos inveniat
(bevete fratelli affinché il diavolo non vi colga oziosi)Detto benedettino
E’ proprio in questa terra “sacra” della Valle Belbo che si ergeva il Monastero della Congregazione delle Figlie di San Giuseppe di Rivalba – il Monastero delle suore del vino bianco – che per oltre 100 anni (dal 1906) ha portato avanti una tradizione enologica di grandissima importanza: quella del Moscato come vino da messa.
In questo articolo, ne esploriamo la storia poco conosciuta e lo facciamo insieme a una guida d’eccezione, Maurizio Marino della Cantina Beppe Marino, l’attuale produttore di questa bevanda di culto.
La Congregazione delle Figlie di San Giuseppe
La Congregazione delle Figlie di San Giuseppe, venne fondata dal Beato Clemente Marchisio, prete del paesino di Rivalba, in provincia di Torino, molto amico di Giovanni Bosco, Domenico Savio, Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Clemente Marchisio, durante la sua vita, si era prodigato molto nel sostegno delle ragazze bisognose, indottrinandole nella via monacale e concentrando le loro attività su tutti i passaggi della Celebrazione Eucaristica: produzione delle ostie, del vino, creazione di paramenti, ceri ecc…
Da qui all’apertura di vere e proprie case specializzate in ogni passaggio dislocate in tutta Italia: a Niguarda per le ostie, a Roma dedicate alle pulizie in Vaticano e a Santo Stefano Belbo per la produzione del vino.
Tutto ebbe inizio quasi per gioco, ma ben presto si stabilì che il Moscato che era un vino ideale per la messa: leggero di gradazione (per poter reggere più messe) e aromatico, quindi piacevole alla beva.
Quello prodotto dalle suore 40/50 anni fa – inoltre, era eccezionalmente buono e si diversificava dagli altri per un semplice motivo: venivano selezionate solo le migliori uve che poi erano lavorate con un criterio preciso, nonostante non ci fossero ancora i metodi di produzione moderni.
Questo modus operandi viene portato avanti ancora oggi, dopo tutto questo tempo.
Perché il Moscato?
Questo si deve anzitutto a una questione legata al territorio: la produzione di uve nella zona di Santo Stefano Belbo era soprattutto di moscato.
Altra motivazione interessante è che il vino bianco aveva il vantaggio di non macchire le tovaglie.
Vinum debet esse naturale de geminine vitis et non corruptum
(il vino deve essere naturale, del frutto della vite e non corrotto)Libro IV can 924 art 3, Codice di Diritto Canonico
Inoltre, il Codice di Diritto Canonico, ancora in vigore, predisponeva alcune regole che doveva avere un vino per essere considerato “da messa”: doveva provenire da uve mature e non doveva essere inacidito o corrotto altrimenti diventava non utilizzabile allo scopo. E per questo l’uva moscato si presta molto bene.
Oggi, relativamente all’iter da seguire per potersi definire tale, il vino da messa deve ricevere un nullaosta da parte della Curia Vescovile a seguito di un controllo di qualità eseguito su un campione inviato in laboratorio.
La parola a Maurizio Marino
Quali sono le caratteristiche principali che deve avere un vino da messa?
maurizio — Rispetto alla produzione di un Moscato classico, quello da messa è meno dolce. Il nostro, per esempio, è intorno ai 125-135 g/l di zucchero residuo a seconda delle annate, mentre quello da messa è circa 100, massimo 105: non deve infatti impastare o risultare stucchevole.
E’ anche leggermente più alcoolico, fa circa 6, 7 gradi a differenza dei 5 del Moscato che viene commercializzato.
La differenza maggiore però è la fa la CO2 perché è un vino completamente fermo. Questo penso perché 50 anni fa, non essendoci un sistema moderno di produzione di “bollicine”, il rischio di esplosione delle bottiglie era maggiore. Penso anche che questa scelta oggi voglia mantenere viva una lunga tradizione e anche favorire la praticità nella beva durante la messa.
Come mai hai scelto di portare avanti questa tradizione?
maurizio — Il Monastero è un lustro per la Valle Belbo, sia per la sua storicità che per le sue caratteristiche. Negli anni si è un po’ persa l’aura religiosa che aveva in passato: penso al Dopoguerra, qui c’erano una ventina di suore che diventavano circa quaranta durante il periodo della vendemmia.
La vinificazione del Moscato come vino da messa, era un lavoro seguito esclusivamente dalle suore in tutti i suoi passaggi.
Negli anni ’90, post scandalo sul metanolo, tutta la produzione è stata rivoluzionata: oltre a un’importante opera di ristrutturazione, sono stati acquistati macchinari più tecnologici.
Era una Congregazione che davvero era parte della società: quando ero bambino, le suore vivevano il territorio, erano attive e dinamiche. Questo piacevole ricordo ha fatto scaturire in me l’intenzione di proseguire il loro lavoro, essendo anche la nostra azienda molto vicino al Monastero.
Credo sia molto importante ricordare e portare avanti tradizioni come questa, per quanto si possa essere credenti o meno, perché fanno parte della storia di un territorio e di una comunità di persone che ha contribuito in maniera così significativa, facendole vivere per sempre.
Dove vengono distribuite le bottiglie?
maurizio — Le bottiglie che produciamo vengono destinate in tutta Italia e in parte anche all’estero, dove le suore continuano imperterrite a operare sul territorio, cercando sempre di mantenere standard qualitativi molto elevati e portando avanti un messaggio di continuità, nonostante ce ne siano meno rispetto al passato, purtroppo.
Per chi avesse la curiosità di assaggiare questo vino, dovrà rinunciare: per una questione prettamente morale e di rispetto, essendo destinato alle messe, non è possibile poterlo degustare. Bisogna lasciare spazio all’immaginazione, ma già conoscerne la storia credo sia soddisfacente!