Enigmatico e affascinante, il Dogliani DOCG continua a intrigare gli amanti del buon bere.
Questa denominazione viene prodotta con uve dolcetto, una varietà autoctona del Piemonte che conferisce al vino il suo profilo aromatico distintivo.
Grazie alla sua struttura e complessità, il Dogliani DOCG si abbina bene a una vasta gamma di piatti, dalle paste ai formaggi, dai salumi alla carne, offrendo una flessibilità unica.
In questo articolo, ci immergiamo nell’universo dei produttori di questo pregiato nettare, chiedendo direttamente a loro di farci conoscere il carattere di questo vino.
Voce ai produttori
Vorremmo ringraziare gli artigiani del vino per aver condiviso con noi le loro esperienze e sapienze enologiche, il loro tempo e la loro passione: Antonella Bertalini di Cascina Torello, Sergio Abbona di Cà Neuva e Vincenzo Pecchenino dell’Azienda Valdibà di Dogliani.
La loro voce è la testimonianza di una terra ricca di storia e di amore per la viticoltura e per un vino che profuma di autenticità e del territorio in cui viene prodotto.
E ora, pronti a esplorare i segreti e le sfide dietro alla creazione di uno dei vini più distintivi del Piemonte? Buona lettura!
Che tipo di vino è secondo te? Perché ti piace?
Antonella — Per me è il “principe” dei vini, un vino eccezionale, ne sono convinta! Il suo gusto e il suo profumo sono caratteristici ed è buono così com’è, a differenza del Nebbiolo che magari, un po’ per moda o per disciplinare, va barricato.
Con il tipo di diradamento che ci impongono (come, per esempio, qui da noi nella zona di San Luigi, vocata per questo vino), si raggiunge una qualità spettacolare. La lavorazione è molto semplice e il vino, anche a distanza di anni, mantiene le sue caratteristiche.
SERGIO — Secondo me è il vino della quotidianità, che però può appagare anche durante pasti più “strutturati”. E’ molto duttile e mi piace perché ha una grande facilità di abbinamento e non è aggressivo, proprio per sua “biologia”.
Vincenzo — E’ un vino che va bene con tutto! Può essere un vino da tutto pasto; mi piace perché è completo, non è complicato da bere, non ha tannini aggressivi e sopporta bene anche l’invecchiamento. Abbiamo stappato bottiglie che hanno 10 – 12 anni e sono ancora perfette!
Con cosa lo abbini?
Antonella — Lo abbinerei chiaramente ai primi, a dei buoni formaggi, ma anche ai secondi perché è molto versatile. Alcuni lo accompagnano addirittura al pesce (e io che ho origini liguri lo so bene!)… Forse con lo stoccafisso si potrebbe provare, anche se azzardato!
SERGIO — Antipasti belli decisi, è un vino che si presta anche per pranzi o cene impegnativi. Io lo accompagno a carni molto grasse, ma anche a cibi delicati. Mi piace anche berlo così, in purezza.
VINCENZO — A tavola sicuramente, grazie alla sua versatilità, lo abbino agli antipasti, ai secondi piatti a base di selvaggina, ai brasati, ma anche azzarderei con del buon cioccolato fondente!
Che differenza c’è tra il Superiore e il base?
Antonella — Ciò che caratterizza il Superiore è anzitutto il vigneto dove viene prodotto, il mio base molti lo scambiano per Superiore, ma in realtà è un vino normale: fa il suo anno in botte e poi viene imbottigliato. Ciò che li distingue è sicuramente il tempo di affinamento in legno.
SERGIO — Il base è l’espressione più giovanile, il Superiore sta 18 mesi nel legno e quindi richiede un affinamento più lungo. Il Riserva, che noi facciamo è il vino della gioventù, della freschezza: c’è un bacca rossa molto più fresca e colpisce per quello.
VINCENZO — Tra il base e il Superiore non c’è grande differenza, sono molto simili e contraddistinti da una struttura importante: fanno entrambi 14 gradi. Produciamo anche un Langhe Dolcetto più leggero – e non Dogliani – proprio per avere prodotto che si differenzia dagli altri due.
Cosa ha comportato il cambio di denominazione da Dolcetto di Dogliani DOC a Dogliani DOCG?
Antonella — Ero presente a tante riunioni, quando ci è stato chiesto proprio di scegliere fra queste due tipologie: io personalmente ho votato Dolcetto di Dogliani DOCG. La maggioranza poi ha optato per Dogliani DOCG, forse per rendere più semplice il nome.
Inizialmente, molti tra ristoratori e clienti chiedevano che vino fosse perché venendo meno la parola Dolcetto – che indica il vitigno – non era chiaro. Alcuni produttori hanno addirittura inserito una retro etichetta con la spiegazione.
SERGIO — Abbiamo notato che l’appeal sulle persone è stato maggiore. Il nome “Dogliani DOCG” è sicuramente più accattivante.
Quindi per noi è stato un cambiamento positivo anche perché ci ha impegnato nella ricerca e nella produzione di vini sempre più strutturati e complessi che incontrassero i gusti del consumatore finale.
In generale è ancora un vino poco conosciuto: in passato veniva consumato in Piemonte, in provincia di Cuneo e Torino, e un po’ in Liguria. Ora, anche con l’arrivo di nuovi vitigni si è perso un po’ il mercato, che predilige altri vini.
VINCENZO — Quando c’è stato il cambio di denominazione abbiamo perso qualche cliente, con un calo di circa il 40%. A nostro avviso, la variazione di denominazione non è stata comunicata nel modo giusto, pertanto molti consumatori sono rimasti disorientati.
Quali sono le difficoltà che incontrate nella lavorazione e nella coltivazione delle uve? E sul mercato?
Antonella — La lavorazione dei terreni ha le sue difficoltà: il dolcetto è un vitigno che definirei “antipatico” perché bisogna lavorarlo con cura affinché cresca bene. Le avversità della natura ci sono sempre (oggi più che mai tra siccità e malattie di vario genere), quindi bisogna tenere sotto controllo il vigneto costantemente.
A livello di cantina non ci sono grosse difficoltà, che invece sono più comuni nella vinificazione dei bianchi. Parlando di mercato, sono soddisfatta, abbiamo un acquirente affezionato che impatta per un buon 70% della produzione e la rimanenza è destinata in tutto il mondo, agli ospiti del Bed & Breakfast o chi è interessato ad assaggiare.
SERGIO — La difficoltà maggiore è la maturazione dell’uva: quando arriva quasi a maturazione infatti, basta uno sbalzo termico notturno per farla rallentare. E’ un vitigno molto sensibile.
Per quanto riguarda il mercato, i vini a base dolcetto continuano a essere percepiti come poco strutturati, poco complessi. Quando però poi assaggi il Dogliani ti stupisci, tanto da non volerlo più abbandonare. Lo stesso è capitato con la Barbera definita “vin di ciucatun” nel passato, oggi eletta a grande vino. Il merito va sempre ai produttori, che si impegnano a lavorare bene in vigna e in cantina.
I consumi sono costanti anche se calati rispetto al passato: oltre ai nostri clienti italiani affezionati, cerchiamo di coprire anche il mercato online, quello estero e quello della ristorazione.
VINCENZO — Il dolcetto è un vitigno molto particolare: necessita di cure costanti ed è molto difficile da lavorare sia in vigna che in cantina perché o in primavera lo lavori presto o i tralci vanno per conto loro, non vanno su dritti. Inoltre è soggetto a flavescenza. In cantina tende a prendere cattivi odori e quindi bisogna curarlo molto, anche di più rispetto a un Nebbiolo.
Come dicevo precedentemente, il mercato lo conosce poco: clienti che arrivano da Milano rimangono sbalorditi nel testarlo! Ci piacerebbe che tutti i produttori facessero più squadra per permettere a questo vino di essere valorizzato maggiormente e per dominare il mercato spostando l’attenzione da altri vini a questo. Credo che il Dolcetto sia oggi ancora un prodotto di nicchia.