“Creatività incompresa” si potrebbe sintetizzare la vita, intensa ed affascinante, di Renato Ratti: una delle menti più geniali del panorama enologico della seconda metà del sec XX.
Occorre ricordare che Renato Ratti fu innovatore e precursore, ma sempre fuori dagli schemi dell’establishment e dal potere costituito.
Troppo giovane nel 1943 per diventare capo partigiano, magari in una formazione Giustizia e Libertà, troppo anziano nel 1968 per diventare leader in una delle tante università in rivolta.
La vita
Il periodo in Brasile
Tutta la vita di Renato Ratti ha una precisa costante che lo segue sin dai primi anni: “ Fuori dagli schemi precostituiti”.
Già in Alba, nel collegio civico, ebbe qualche problema, lo stesso alla scuola enologica con alcuni professori, anche perché scriveva il tema di italiano anche per altri studenti.
Nel 1954 Ratti prese il diploma di enotecnico.
Trovò lavoro in Brasile, presso la ditta Cinzano.
Il lavoro in Brasile fu rivolto alle necessarie innovazioni, ma dovette confrontarsi anche con enormi problemi sociali.
Progettò vasti impianti di vigneti nei dintorni di San Paolo del Brasile.
Vitigno: “Angelica”, due raccolti l’anno, con sistemi di irrigazione moderni e con centri di vinificazione vicini ai vigneti.
Un giorno si scontrò con un ricco proprietario terriero.
Ratti, in una fazenda, di proprietà della Cinzano, aveva assunto dei campesiños per dei lavori agricoli stagionali, accordando la paga minima prevista dai contratti. Era stato subito richiamato dal ricco fazendero confinante.
«Qui le paghe le decido io.».
All’inizio Renato aveva replicato, poi tra una parola e l’altra aveva anche sentito «comunista»; aveva subito smesso di discutere.
Nel 1964 Renato Ratti ritornò nell’albese.
Il ritorno nella terra natia
Pochi mesi dopo iniziò i lavori per una nuova cantina nei locali abbandonati dell’Abbazia dell’Annunziata di la Morra.
Nel 1965 i primi risultati.
Il Barolo stava iniziando la sua fortuna con l’ottenimento della DOC nel 1966.
In seguito Renato Ratti fu direttore dei consorzi tutela dei vini albesi e dell’Asti: in ambedue gli enti profuse le sue energie migliori.
Il suo grande capolavoro fu sicuramente il complesso e delicato lavoro svolto per raggiungere alla firma del primo accordo per la determinazione dell’uva moscato.
Era il 21 aprile 1979, la firma avvenne in Asti, nella sede del Consorzio Tutela Asti.
Il citato accordo rappresentò per decenni una tappa fondamentale e indispensabile per regolare e normalizzare i rapporti economici e normativi nella complessa filiera, che comprende la produzione dell’uva moscato e la produzione del Moscato d’Asti e dell’Asti.
Altri importanti risultati Ratti li ottenne con una nuova bottiglia per i vini albesi, elaborando le cartine delle sottozone del Barolo e Barbaresco.
Pubblicò almeno 12 libri e ideò un bicchiere per l’assaggio.
Le ultime difficoltà
Ma la strada professionale per Renato Ratti si fece molto difficile: ad Alba e ad Asti ebbe molte incomprensioni e nemici.
Infatti, dal 1987 cercava altre opportunità di lavoro, purtroppo non ne ebbe il tempo.
Renato Ratti mancò la notte tra il 23 e il 24 settembre 1988.
Il funerale fu quanto mai partecipato.
Come succede con i grandi personaggi, che in vita hanno lasciato il segno, un tam tam incredibile convocò una domenica pomeriggio a Mango tutto il mondo del vino italiano.
Pareva il più affollato congresso italiano del settore.
Il sacerdote celebrante, don Giuseppe Cogno, anche lui vignaiolo a Neive, ricordò: Oggi è in lutto il mondo del vino, soprattutto è in lutto il mondo degli onesti.