Letture golose

Arneis: gli inizi in cantina #3 - Umberto Ambrois

Aprile 24, 2018

Umberto Ambrois, enologo, ha lavorato in alcune cantine ed è stato insegnante alla scuola enologica di Alba.

Da decenni è un appassionato studioso di viticoltura ed enologia del Roero.

Ha pubblicato “Roero-Vite e Vino” nel 1978 per le edizioni Gribaudo – premio internazionale O.I.V.1978.

Antiche bottiglie della Tenuta Carretta – foto di emiroglio-wine.com

Il racconto di Umberto Ambrois

Avevo una buona esperienza di vini bianchi maturata nelle cantine sociali del Lazio legati al Centro Studi Enologici di Roma dall’enotecnico Ezio Rivella.

Mi ero diplomato nel 1957, dopo alcuni anni di esperienza in Lazio; avendo la fidanzata in Alba ritornai in zona, trovando lavoro, quale direttore della Tenuta Carretta di Piobesi, di proprietà della famiglia Veglia di Torino.

Allora nel Roero erano coltivate sopratutto uve a bacca nera.

Le uve bianche erano ristrette alla zona di Corneliano – Piobesi per la Favorita e Canale e Cisterna per l’Arneis, ma in quantità molto limitata preciso.

Siccome la produzione di vini albesi non comprendeva vini bianchi, a parte Moscato e vini base spumante, ritenni opportuno tentare un esperimento per produrre un vino bianco d’Alba.

Il problema era la materia prima: trovai con difficoltà piccoli carichi di Arneis e Favorita a Montaldo Roero e zone vicine, raccolte in gerbe di castagna.

Otto quintali d’uva ricordo.

Il metodo di vinificazione

Antico torchio verticale – foto di lasingela.com

Fu tra le prime vinificazioni di Arneis in zona: utilizzai un torchio verticale meccanico con gabbie di legno, utilizzai solo il mosto “superfiore”, con una resa veramente bassa: 4,5 hl di mosto.

La fermentazione avvenne regolarmente, con l’ausilio di soli fermenti naturali e il mosto in 8 giorni andò a secco.

A questo punto, dopo la separazione delle fecce grossolane, aggiunsi una piccola dose di anidride solforosa.

La sedimentazione – per modo di dire – avvenne naturalmente, quindi il prodotto fu travasato in una piccola vasca di cemento: avevo provveduto a rivestirla esternamente con uno strato di polistirolo a scopo isolante.

All’interno la verniciai con una nuova vernice protettiva fornitami dall’amico Marco Biglino.

Il vino aveva una buona acidità, d’altra parte il concetto di fermentazione malolattica allora non era conosciuto e soprattutto seguito; il grado alcolico era ottimo: 12° naturali.

Nell’aprile si pose il problema di imbottigliarlo.

A una prima chiarificazione a base di bentonite e gelatina, seguì la refrigerazione effettuata empiricamente con l’ausilio di un piccolo frigo affittato presso l’emporio Lurgo in Alba.

Utilizzai anche caseinato di potassio per eliminare un po’ di metalli dal vino e anche per facilitare la formazione di microcristalli.

Dopo 10 giorni, filtrai il vino dapprima con farina fossile e in seguito con cartoni K 10: il vino era limpidissimo, ma non ancora stabile.

Aggiunsi vitamina C e metabisolfito di potassio per avere una quantità di solforosa libera sufficiente per evitare ossidazioni; preciso che non c’era nessun dato sull’evoluzione ossido riduttiva dell’Arneis.

L’esperienza del Lazio con l’amico Ezio Rivella è stata fondamentale.

L’imbottigliamento

Per l’imbottigliamento utilizzai una bottiglia particolare, studiata copiando un oggetto esposto da un benzinaio; la forma: tra champagne e regione del Reno.

Per i tappi usai sughero naturale.

Disegnai l’etichetta, riflette l’epoca: caratteri gotici alti con il logo in rosso “tre ruote”; sul collarino riportava: bianco secco-riserva di fattoria.

La cosa più interessante: la capsula fatta con foglie di mais: un lavoro manuale cui contribuirono le dipendenti della tenuta.

Usammo foglie di mais ottenute sfogliando le pannocchie: si legavano le foglie sul collo della bottiglia, si rivoltavano, si piegavano, si faceva la capsula, e un piombino sigillava il tutto.

La confezione piacque e fu certamente originale.

Fiera di Milano del 1968 – foto di lombardiabeniculturali.it

Un altro problema riguardo a questo vino fu la stabilità biologica: utilizzai un pastorizzatore a immersione a cassoni della ditta Pama.

Un impianto enorme (4 x 2 mt.): s’inserivano dei plateau metallici con 100 bottiglie, mediante rotazione finivano nel bagno d’acqua calda per circa 30 minuti.

Il ciclo completo durava 65 minuti, la temperatura di pastorizzazione in quell’epoca era normale; oggi ovviamente è un parametro fuoricorso: ovvero 65°.

Dovemmo risolvere il problema del giusto livello di riempimento, affinché il tappo non saltasse; non avevamo parametri precisi.

Valutai a occhio tenendo il livello basso, ma non troppo evitando di trovare bottiglie con il tappo fuoriuscito e quindi piene di acqua bollente.

Regolare la riempitrice non era facile per nulla: spesso le operaie sboccavano a mano la bottiglia troppo piena onde andare a livello.

Utilizzammo scatole di cartone ondulato con alveare.

La reazione commerciale

II nuovo vino “Bianco d’Alba” trovò qualche riscontro sul piano commerciale e lo presentammo alla fiera di Milano del 1968 con buoni consensi.

Ma erano solamente 600 bottiglie: troppo poche per creare un mercato.

Lo stesso vino fu presentato in Germania nel 1968: era la prima volta che un vino bianco secco dell’albese veniva promosso all’estero.

Nel 69 vinificai un po’ di Favorita in purezza con 12 q.li di uva che trovai nella zona tra Corneliano – Piobesi e qualche piccolo carico a Priocca, ma anche questo vino ebbe difficoltà a essere imposto sul mercato, pertanto nel 1970 lasciai la cantina Carretta e ritornai a fare il consulente.

Nel 1963 avevo vinto il concorso nazionale per insegnanti: iniziai nel 1971 un nuovo lavoro.

le vigne della Tenuta Carretta – foto di tenutacarretta.it

Tutti gli articoli della serie “Arneis: gli inizi in cantina”

Arneis: gli inizi in cantina #1 – Introduzione

Arneis: gli inizi in cantina #2 – Alfredo Currado

Arneis: gli inizi in cantina #4 – Sergio Battaglino e Bruno Giacosa

Arneis: gli inizi in cantina #5 – Giovanni Negro