Arte e cultura
Le etichette da vino Breve storia millenaria

Le etichette da vino rappresentano molto più di una semplice striscia di carta affissa a una bottiglia: nascono infatti da un’esigenza antica e si trasformano nel tempo da semplici strumenti identificativi a vere creazioni artistiche, capaci di emozionare e raccontare.
L’intreccio tra vino, territorio e arte è secolare e continuativo – vedasi le esemplari Cappella del Barolo e Cappella del Moscato o le cantine che hanno fatto del connubio artistico territoriale il loro marchio (alcune delle quali presenti in questo articolo) – e da sempre oggetto di studio e di fascinazione.
Sappiamo tutti che dietro ogni bottiglia c’è una storia che merita di essere raccontata, ma quando parliamo del “davanti” cosa sappiamo? Andiamolo a scoprire!
La prima etichetta conosciuta non era fatta di carta o inchiostro, ma era incisa nella creta — un segno duraturo, impresso nel tempo come un marchio. Sei millenni fa, i Babilonesi iniziarono a tracciare con sigilli cilindrici le anfore per distinguere i vini migliori, destinati alle élite religiose e nobiliari mentre in Egitto, il vino veniva accompagnato da contrassegni descrittivi.
Nella tomba di Tutankhamon, sono state ritrovate 26 anfore su 36 che recavano simboli e scritte incise, quasi a volerne proteggere il contenuto attraverso i secoli.
Anche Greci e Romani erano soliti apporre incisioni sulle anfore in terracotta per identificare provenienza, annata e persino il nome del Console in carica al momento dell’imbottigliamento.
I materiali utilizzati per queste primitive “etichette” comprendevano pergamena, stoffa, cuoio e pozzolana.
Nel Medioevo, con la diffusione della botte in legno, le iscrizioni passarono a gesso o mattone ma fu solo con la comparsa della bottiglia di vetro, che l’etichetta assunse un ruolo nuovo: diventare volto, voce e firma del vino.
Ma si dovette attendere il 1700, per vederne la vera modernizzazione.
Dom Pierre Pérignon, monaco benedettino e inventore del metodo champenoise, è considerato il pioniere dell’etichetta moderna. Per distinguere annate e vigne, iniziò a legare al collo delle bottiglie piccoli pezzi di pergamena scritti a mano con uno spago.
La rivoluzione arrivò con l’invenzione della litografia, che aprì le porte alla riproduzione in serie; poi, a metà Ottocento, la cromolitografia portò il colore: stemmi dorati, fregi, medaglie e leoni fecero brillare le bottiglie, trasformando le loro facciate in vere ambasciatrici visive del gusto.
In parallelo, un’altra tendenza si affermò: quella dell’essenzialità.
Più il vino era pregiato, più il suo vestito diventava sobrio, elegante nella sua nudità, come nel caso del celebre Romanée-Conti: nero su bianco, senza fronzoli, solo la verità.
Nel secolo scorso, l’etichetta cominciò a diventare un ponte tra arte e commercio: il barone Philippe de Rothschild, visionario enologo e mecenate, nel 1924 affidò la prima “firmata” all’artista Jean Carlu per il suo Mouton Rothschild.
Questo fu l’inizio di una lunga tradizione: Dalí, Picasso, Mirò, Warhol, tutti prestarono il loro talento per trasformare ogni bottiglia in un pezzo da collezione.
Anche in Italia l’arte fece il suo ingresso in cantina: a partire dal 1985, con il “Vino della Pace”, la Cantina Produttori di Cormòns affidò le sue etichette a grandi maestri italiani del Novecento come Enrico Baj, Arnaldo Pomodoro e Giacomo Manzù.
Negli ultimi decenni del Novecento, l’etichetta quindi ha vissuto una trasformazione significativa, diventando non solo un mezzo di identificazione, ma anche uno strumento di comunicazione culturale.
Oggi, l’estetica dei vini è estremamente variegata, così come le informazioni in esse contenute: si spazia da precise informazioni tecniche a un minimalismo netto, includendo note di degustazione, suggerimenti di servizio, scale di dolcezza o aneddoti.
L’etichetta da vino moderna non è ormai più solo un racconto concentrato in pochi centimetri: deve rispettare leggi, veicolare fiducia, spiccare sugli scaffali, oltre che toccare corde emotive.
L’innovazione tecnologica continua a influenzare questo settore: codici QR scannerizzabili, esperienze di realtà aumentata e tecnologie “intelligenti” come l’etichettatura RFID, NFC e blockchain per combattere le frodi vinicole.
Nonostante l’evoluzione tecnologica, ne rimane invariata la funzione originale: rendere riconoscibile una bottiglia di vino e comunicare al consumatore l’identità e la qualità del prodotto che sta per degustare.
Un compito difficile, quasi poetico: rendere visibile l’invisibile.