Ingredienti
- salame cotto gr 150
- arrosto di vitello gr 150
- quattro uova
- sale
- burro
- olio
- una manciata di parmigiano grattugiato
Cosa serve
- una padella di ferro
- una forchetta
- un piatto
Procedura
Si tritano il salame cotto e la carne arrostita. Si sbattono bene con una forchetta le quattro uova intere, si salano, si unisce una manciata di parmigiano grattugiato e la carne tritata e si versa il tutto in una padella a fuoco vivo, ove sta friggendo un po’ di burro e olio.
Si tiene continuamente in agitazione la padella e si sollevano tutt’intorno i bordi della frittata.
Quando sembra cotta, si gira la frittata con un piatto largo quanto il fondo della padella e si torna a rimettere al fuoco, avendo aggiunto di nuovo un po’ di burro e olio.
Quindi, cotta, si torna a girare la frittata e si porta caldissima in tavola.
Curiosità
A questa gustosa frittata si ricollega il ricordo di una leggenda che mi narrava, quando ancora ero bambino, uno dei mezzadri di una nostra cascina, Vigiu, un uomo di molta saggezza, arguto, assai paziente con noi bambini.
All’imbrunire, seduto con lui ed altri sul muretto in fondo al cortile, lo stavo ad ascoltare, attento e silenzioso, mentre narrava vecchie storie con ritmo lento e pacato, con opportune pause nei momenti più drammatici, con voce modulata a seconda dei personaggi, ch’erano spesso streghe, maghi, lupi famelici, pirati e ladroni.
Talvolta la luna disegnava sul fondo dell’aia figure fantastiche, strani grovigli, voli rapidi e silenziosi che, accompagnandosi alle sue parole, mi facevano tremare. E, senza darlo troppo a vedere, m’accostavo di più a lui senza mai perdere il filo del racconto.
Tra quelle sue favole ve n’era una che, di certo, è ancora nota a molti albesi che la collegano ad un ampio precipizio che si sprofonda giù nella zona di Treiso e nel quale si vorrebbero vedere sette canaloni che si sfaldano perdendosi nel fondo.
Quello scoscendimento vien detto delle Rocche dei sette fratelli, e la leggenda, che allora m’affascinava, è questa. In anni assai lontani vivevano in quella zona sette fratelli, sei maschi ed una femmina, lavoratori instancabili, legati tenacemente alla loro terra, scarsamente sensibili ad ogni altro impegno o dovere.
Lavoravano tutti quel giorno in un grandissimo, splendido prato che era un poco il loro orgoglio e chiesero alla sorella di preparare per la colazione una frittata con la carne (la frittata rognosa, per l’appunto).
Era un venerdì, giorno di “vigilia”, nel quale i buoni cristiani non dovevano mangiare carne (ed io, anche se bambino, lo sapevo bene perché già me lo avevano detto le suore dell’asilo e spesso tentavo di rifiutare il merluzzo, sostitutivo della carne, che proprio non mi piaceva); la sorella ricordò questo dovere ai fratelli, tentando di dissuaderli da quella fantasia, considerata allora addirittura blasfema, ma a nulla valsero le sue parole.
Così la frittata fu preparata e poi servita, ma non si ebbe tempo a dividerla tra i giovani affamati che il prato sprofondò trascinando con sé i sette fratelli. Dei maschi non si seppe più nulla; la sorella si salvò su di un ripido picco roccioso che ancora si vede; le “rocche” sono ancora là, bianche, scoscese, alte, ad ammonimento dei peccatori, oggi però insensibili, come per tante altre cose non soltanto d’impegno religioso, ai doveri della “vigilia”.
Crediti Foto: jeffreyw