Le storie di masche, con il loro mix di realismo e superstizione, sono un esempio vivido di come il folklore si intrecci con la vita quotidiana, manifestazioni vive dell’immaginario popolare delle Langhe e del Piemonte.
Streghe, maghe, fattucchiere, spiriti irrequieti con poteri soprannaturali, dotate della sorprendente capacità di mutare in creature animali, di esercitare vendetta per un’ingiustizia subita o di essere artefici di sfortune.
Per scrivere questo articolo, ho consultato alcuni tra i più autorevoli titoli in materia: ti consiglio in particolare Masche di Donato Bosca e Bruno Murialdo, se ti interessa approfondire il tema.
Incantesimi di parole: le vijà e le storie delle Masche
In un’epoca avvolta nel fascino del passato, le veglie, o “vijà”, erano palcoscenici magici dove i cantastorie diventavano eroi della narrazione, tessitori di storie che incantavano e univano più generazioni.
Le “veglie” erano serate in cui la comunità si riuniva, spesso durante le stagioni più fredde o in occasione di festività, occasioni per rafforzare i legami comunitari, tramandare la cultura e le tradizioni locali.
Man mano che le ombre della notte si addensavano, l’atmosfera si caricava di un’elettrizzante suspense. Era il momento clou della serata: l’inizio dei racconti di mistero e brivido, legati alle enigmatiche figure delle Masche.
In questo contesto, il narratore si trasformava in un testimone oculare, un viandante di mondi sconosciuti, rendendo ogni racconto straordinariamente vivido e tangibile.
Le sue parole, intrise di autenticità e mistero, non erano solo storie, ma finestre aperte su un universo di cultura, credenze e leggende, capace di far vibrare il confine tra realtà e fantasia.
La prima menzione nell’Editto di Rotari
La menzione del termine “masca” nell’Editto di Rotari del 643 rappresenta un punto significativo nella storia del diritto e delle credenze popolari.
La “masca” viene menzionata con il significato di strega.
Questo riferimento nell’editto non solo sottolinea l’importanza della mitologia locale e della magia nella società, ma anche la loro influenza sul diritto formale dell’epoca.
Il libro del comando
I “Libri del Comando” sono avvolti in un velo di mistero e considerati sia un privilegio che un fardello.
Coloro che ne veivano in possesso non possono liberarsene facilmente, poiché l’unico modo per distaccarsene è trasferirli a un’altra persona.
Quest’ultima, a sua volta, è destinata a trasformarsi in una masca, perpetuando così il ciclo di potere e responsabilità associato a questi enigmatici tomi.
Testi magici contenenti una varietà di formule e incantesimi, riti e cerimonie, utilizzati per evocare sia spiriti benevoli che malevoli e si credeva fossero stati scritti dal diavolo stesso.
Usanze e riti di salvaguardia
In tutto il Piemonte esistevano diverse pratiche per proteggersi dalle malignità attribuite alle masche.
Per esempio molti credevano che, durante la celebrazione della messa, il sacerdote potesse riconoscere una masca tra i fedeli.
Qualcuno diffondeva sale intorno a sé, si prestava particolare attenzione nel non esporre i vestiti dei bambini all’aperto, temendo che le masche potessero danneggiarli e causare malformazioni nei piccoli.
Altri proteggevano le proprie case con fili di canapa, filati specificamente da giovani ragazze che non avessero mai impiegato un fuso precedentemente.
La storia di Micillina: la masca di Pocapaglia
Quella della masca Micilina, è sicuramente tra le storie più conosciute e narrate della zona.
Micillina era una donna di Barolo che dopo aver sposato un contadino, si trasferisce a Pocapaglia. La sua apparenza inusuale e il suo comportamento la resero sospetta agli occhi della comunità.
Le sue vicende personali si intrecciano con eventi misteriosi: viene accusata di causare deformità fisiche e altri incidenti, come la gobba a una bambina.
La situazione peggiora quando il marito inizia a maltrattarla a causa delle voci, portando Micilina a cercare rifugio nel bosco, dove si dice abbia stretto un patto con il demonio.
La crescente paura e le accuse contro di lei culminano con l’intervento del Tribunale dell’Inquisizione dove viene processata, e sotto tortura, ammette vari crimini per poi essere condannata e bruciata sul Bric d’la Masca a Pocapaglia.
Riscoprire il passato attraverso la ricerca delle storie orali
La storia di Micilina, come tantissime altre, mescola realtà e leggenda, simboleggiando l’influenza delle credenze popolari e della superstizione nella cultura locale.
La ricerca su questi racconti, come giustamente afferma chi ne ha studiato e continua a studiarne gli elementi storici, sociologici e antropologici, deve includere fonti storiche per evitare un’interpretazione solo folcloristica.
Oggi purtroppo i cantastorie non esistono più, diventano i custodi del tempo gli anziani con i loro avvincenti racconti, guardiani indispensabili di un’eredità immortale. In loro risiede la chiave delle porte della memoria, preservando così la preziosa trama della nostra ricchezza culturale.