Il cielo è trasparente, nessuna avvisaglia di cattivo tempo in arrivo, tabula rasa nell’azzurro.
Sono le 05:30 di mattina e l’impegnativa giornata di vendemmia ha inizio.
Prima ci si alza e prima si andrà a dormire (anche se, si sa, spesso le cose non funzionano così), perché la raccolta, al di là dell’immaginario suggestivo che rimanda, è soprattutto questo: una sgobbata.
Sulla scena il Nebbiolo
In questo periodo nelle Langhe tocca al nebbiolo, noto per essere molto difficile da coltivare e per possedere un’uva dalla maturazione lenta.
Gli acini sono di colore blu scuro e appannati dalla pruina: una proteina che si può trovare su tutti i tipi d’uva e che serve a proteggere il chicco dalle intemperie e dai raggi ultravioletti, ma la cui presenza in questi specifici grappoli è particolarmente spiccata.
L’origine del nome
Alcune teorie indicano come il nome del nebbiolo derivi proprio da questa sua caratteristica: la sostanza cerosa ricorda appunto una sorta di “nebbiolina” che vela ed impolvera gli acini.
Una forse più poetica versione sull’origine del termine, verte sul fatto che quest’uva è tardiva e quindi viene vendemmiata nei periodi delle prime brume che si dilatano come tentacoli caliginosi tra i filari, nel periodo che va tra la prima decade di ottobre fino a volte anche a novembre.
Non v’è cesta così rotta e negletta, che in opra alla vendemmia non si metta
Nel concreto della vendemmia
Per chi se ne intende basta spremere qualche acino preso qui e lì ed assaggiarlo per non avere dubbi: l’uva è pronta.
Muniti di forbici (simili a quelle per tranciare le parti del pollo), stivali e possibilmente dei guanti per non rischiare di mutilarsi qualche dito, si procede con la raccolta manuale dell’uva.
Il mattino è limpido, l’aria è fresca ed anche con il proseguire delle ore le giornate ottobrine permettono di non sudare per il caldo: i miti raggi autunnali sono infatti piacevoli e l’atmosfera luminosa rende meno greve il lavoro.
Intanto, pian piano ma non troppo, i grappoli riempiono le numerose ceste preparate: “non v’è cesta così rotta e negletta, che in opra alla vendemmia non si metta”, scriveva Cristoforo Poggiali. Man mano che vengono colmate si caricano sul trattore che le porterà alla cantina.
C’è da sottolineare la fatica di questa operazione, ogni cassetta pesa sui 25 chilogrammi l’una e dopo l’ennesimo carico inizi a sentire i muscoli delle braccia e della schiena insorgere.
Le apparecchiature moderne per la pressatura dell’uva vanno a sostituire quella che era la lavorazione manuale: la pigiatura con i piedi.
La vendemmia prosegue fino alla pausa pranzo che per comodità si risolve spesso velocemente con pane e salame o con frittata e dell’acqua, il vino meglio a lavoro compiuto e leggero.
Verso le 14/14 e 30 si è con le forbici di nuovo in mano ed il lavoro procede così, invariato e ripetitivo fino a sera.
Pigiatura 2.0
Nel mentre che le ceste vengono riempite, quelle traboccanti di grappoli sono portate in cantina e sottoposte ad una pigiatura per mezzo di un macchinario apposito. L’uva infatti non può aspettare troppo altrimenti inizierebbe a fermentare.
Questa apparecchiatura va a sostituire quella che era la vecchia lavorazione manuale: la pigiatura con i piedi.
Per prima cosa avviene il processo della diraspatura, ovvero l’acino viene tolto dal raspo (che è in poche parole il grappolo senz’uva) ed in seguito pressato.
Il mondo è di chi ha pazienza
La lavorazione finale della vendemmia è rappresentata dalla fermentazione delle uve nelle cantine.
I vini prodotti a partire dal nebbiolo richiedono un affinamento particolare, che può avvenire in botte grande, in botte piccola o in cemento. In poche parole tanta pazienza prima che il vino sia pronto.
Sarà in parte anche per questo che è uno dei vini protagonisti nelle aste internazionali: appassionati ed investitori si presentano in vigna già durante la vendemmia per sapere come andrà l’annata che, nel caso del Barolo, richiede 4 anni di invecchiamento.
Ed è “subito” sera
Dalla vigna si ritorna a casa al tramonto, stanchi e sporchi di fatica; l’indomani si ritornerà all’opera.
Il percorso per il prodotto finale è ancora lungo: questo è il tempo dello sfacchinare che, come scriveva un pensatore, rimane uno dei modi più efficaci per penetrare il segreto profondo dell’esistenza.