Sono sempre stata particolarmente affascinata dal formaggio.
Ricordo che quando ero piccola io e mio padre avevamo un rituale: ogni volta che ci trovavamo in una città nuova dovevamo cercare il formaggiaio più ricco e passarci dentro ore assaggiandoli tutti (questo prima che anche lui, come molti, passasse al “lato oscuro” decidendo di esserne intollerante).
Guardavo questi frighi pieni di forme diverse, dai colori diversi, dalle grane diverse… ognuno con un gusto unico eppure tutti originati dalla stessa sostanza, il latte. Li guardavo e mi chiedevo: ma quale strana sorta di magia li trasforma così?
Come abbiamo visto nell’articolo “Come si fa il formaggio?” non si tratta di una magia, ma di un processo logico e comprensibile che traduce una sostanza liquida in una solida.
Il caglio è un attore protagonista in questo processo.
Ma poi, sostanzialmente, cos’è questo caglio, e a cosa serve?
Il termine viene usato per descrivere ogni tipo di enzima che funga da “coagulatore” della cagliata.
In parole spicce, ecco cosa succede: al latte vengono aggiunte delle colture starter di microorganismi, che trasformano il lattosio (zucchero del latte) in acido lattico. Questo ne aumenta il livello di acidità e fa si che inizi a solidificarsi.
A questo punto viene aggiunto il caglio, che dà un’ulteriore spinta alla coagulazione, dando origine alla cagliata e separandola dal siero.
In che modo funziona?
Gli enzimi si incastrano nella loro proteina “partner” all’incirca come una chiave nella serratura: quando la combinazione è giusta la chiave gira, la porta si apre, e la proteina cambia la sua forma.
Il caglio è fatto di Chimosina (o Renina), enzima che si abbina alla perfezione con la caseina, ovvero la proteina più abbondante nel latte. Quando le condizioni sono favorevoli (ovvero quando il latte è tiepido e acido), il caglio cambia la forma della caseina, facendo si che si coaguli.
Questa operazione avviene automaticamente in natura anche senza l’intervento del caglio, ma è estremamente lenta e imprevedibile, dando tendenzialmente vita a un formaggio morbido e acidulo.
I diversi tipi di caglio
Nonostante molto spesso se ne parli in termini generali, esistono diversi tipi di caglio, dalle origini differenti e particolarmente dibattute.
Il primo, vero, coagulante naturale: lo stomaco di vitello
Questo fatto in molti non lo sanno, ma il caglio non è solo uno strumento di caseificazione: è una parte fondamentale della biologia mammifera.
Quando il neonato fa il “vomitino” sulle spalle del genitore, quella sostanza semi-solida è a tutti gli effetti un formaggio crudo, prodotto nello stomaco dell’infante.
Questo perchè ogni piccolo mammifero possiede enzimi nel sistema digerente che siano in grado di fungere da coagulanti, per aumentare la digeribilità del latte materno.
Il primo vero caglio utilizzato nella produzione di formaggi è infatti quello ottenuto dallo stomaco – più in dettaglio dal quarto stomaco, l'”abomaso” – di giovani vitelli nutriti a latte.
Il caglio vegetale
Si tratta di agenti coagulanti di origine vegetale, usati originariamente nei luoghi in cui il costo del vero e proprio caglio era insostenibile.
Questi vengono estratti da piante specifiche, che nonostante contengano enzimi compatibili con la coagulazione del latte non saranno mai efficienti come l’alternativa animale.
Chi sceglie di utilizzare questa tipologia di caglio ha quindi dei limiti nel processo di caseificazione, e dei rischi in più, in quanto il rapporto con le proteine è meno stabile.
Due esempi di queste piante coagulanti sono il Cardo e il Fico.
Gli enzimi microbici
Questo termine si riferisce a prodotti originati da specifiche colture fungine naturali, che hanno un effetto molto simile a quello del caglio quando aggiunte al latte.
Quest’alternativa viene utilizzata nella produzione di formaggi kosher o halal, che sarebbe estremamente difficile utilizzando il caglio animale.
La pecca di questo tipo di caglio è che influenza negativamente le sensazioni organolettiche del formaggio: ne peggiora la texture, che diventa spesso gommosa, e durante l’invecchiamento tende a dare vita ad acidità spiacevoli.
Ma esiste un caglio “vegetariano”?
Molte delle alternative al caglio animale sono nate con l’intento di ribellarsi alla macellazione dei vitelli, pratica crudele e largamente dibattuta.
La triste verità del formaggio, però, è che non può essere associato in alcun modo al termine “vegetariano”, perché la produzione di latte è inevitabilmente legata alla morte dei cuccioli di mucca.
L’utilizzo di caglio di origine vegetale non riduce il numero di vitelli macellati, in quanto non vengono macellati per il loro stomaco, ma per il latte delle loro madri.
Per produrre latte, le vacche devono partorire uno – se non due – vitelli l’anno; la metà di questi (i maschi) non hanno utilità nella produzione di formaggio e non sono adatti alla produzione di carne.
Anche una parte delle femmine è “consumabile” (perdonatemi il termine), in quanto nel ciclo vitale di una vacca da latte solo uno dei suoi cuccioli andrà a sostituirla dopo la morte.
In conclusione, la scelta di un caglio alternativo non è necessariamente quella più etica: è una presa di posizione che non influenza in alcun modo il benessere animale, oltre a tradursi in un formaggio qualitativamente meno pregiato.