Ricordiamo tra i personaggi del vino Beppe Rinaldi detto “Citrico”.
Aveva settanta anni. Con lui se ne andato un altro dei “pochi e liberi pensatori” del Barolo.
Era da tutti conosciuto come “Citrico”, infatti era sovente il “bastian contrario“, abituato a giudizi schietti e taglienti, mai accomodanti, sempre sinceri.
Beppe Rinaldi, un veterinario, innamorato della vite e del vino, era figlio di Battista Rinaldi, già sindaco di Barolo, cui va il grande merito di avere acquistato per conto del comune il castello Faletti. Sede, in seguito, dell’Enoteca Regionale e del VI.MU – il Museo dei Vini.
La madre, professoressa, era la figlia del generale Libero Porcari, comandante partigiano GL.
“Citrico” ha sempre portato avanti la grande tradizione del Barolo, anche negli anni, a cavallo del terzo millennio, in cui prevalevano nuove tendenze e comode scorciatoie nelle pratiche di cantina.
Lunghe macerazioni in fase di vinificazione, conservazione in grandi botti di rovere, e in seguito in bottiglia, erano il suo vangelo.
Sotto quest’aspetto lo ricordiamo con Teobaldo Cappellano, Bartolo Mascarello, Aldo Conterno e Bruno Giacosa, Arnaldo Rivera e pochi altri.
Frequenti le sue prese di posizione su temi scottanti: cito la ristrutturazione interna del museo Falletti a Barolo, la proposta dell’aggiunta di un secondo vitigno per produrre Barolo e la recente indicazione concernente l’ampliamento dei vigneti nella zona d’origine docg.
L’ho rivisto alcuni mesi fa da una riunione di enologi, diplomati nel 1968.
A tavola, mentre assaggiavamo un meraviglioso Barolo Brunate 2011 di sua produzione, emergeva il “Citrico” di sempre: allegro e conviviale, con cui potevi raffrontarti su mille cose, anche su temi diversi dal vino.
Quando ci ha parlato di cosa ha rappresentato per lui il movimento del ’68, con tutti i valori ideali che ha espresso e poco o niente realizzato, gli occhi per un attimo erano lucidi.
Sono certo che la moglie Annalisa e le figlie Marta e Carlotta continueranno la strada che con passione e competenza ha tracciato.