Arte e cultura

“Aldo dice 26 X 1” La Liberazione e il Venticinque Aprile nelle Langhe

Aprile 22, 2025

Venticinque di aprile, una data da ricordare. E non solo perché è festa nazionale, ma anche perché il solo nominarla rievoca attimi di una Liberazione ormai divenuta leggenda. Eppure, il venticinque è un giorno simbolico, scelto per rappresentare un fotogramma della storia, per convogliare settimane, mesi interi di fervore in ventiquattro ore. 

Per quelli che il fotogramma lo hanno vissuto in carne e ossa, per coloro per cui gli eventi sono stati prima dura realtà che storia, il venticinque aprile è stato primavera del ‘45. Una primavera che è germogliata tra cecchini e rappresaglie ed è esplosa in un’estate di libertà e affannosa ricostruzione.

La lotta nelle campagne tra fervore e riluttanza

Oggi, a ottant’anni da quel venticinque di aprile, i ricordi sono sfumati e le testimonianze, seppur molte, rimangono su carta, foto e video. Tutto ciò che questi non sono stati in grado di immortalare si fa più sfuggente, e con esso i delicati e numerosi dettagli che compongono l’insieme. 

Noi, figli degli scatti e della penna e non della realtà, immaginiamo enormi cortei, folle festanti e incontenibile ottimismo condiviso. Eppure, la strada per la Liberazione non fu sempre facile

Noi, figli degli scatti e della penna e non della realtà, immaginiamo enormi cortei, folle festanti e incontenibile ottimismo condiviso. Eppure, la strada per la Liberazione non fu sempre facile e il concetto stesso di Liberazione non sempre attecchì senza qualche sforzo fuori dai grandi centri urbani. 

Una resistenza non sempre condivisa

Le città soffrivano più intensamente, le bombe cadevano sui loro palazzi e le loro carceri si riempivano per motivi ogni giorno più futili. Ma quanto di tutto questo si percepiva nelle placide campagne? Non tutto e non sempre con la stessa intensità.

La Resistenza, iniziata a piccoli passi nel 1943 ed esplosa dal 1944, fu estremamente attiva in tutto il Piemonte, ma ciò non significa che fu subito accolta da tutti. Nei campi e nelle vallate la gente cercava soprattutto la quiete, ed era disposta a non sentire e talvolta a non vedere pur di mantenerla.

Politica e patriottismo nelle Langhe rurali

Il proverbiale scarso interesse per la politica permaneva anche nelle ore più buie.

Il proverbiale scarso interesse per la politica permaneva anche nelle ore più buie, e l’ardore tipico dei cittadini, quello di chi aveva trascinato i contadini in due guerre in meno di cinquant’anni e ora chiedeva il loro aiuto per uscirne, stentava a mutarsi in patriottismo non appena il cemento lasciava spazio ai fiori. 

Nelle Langhe, destinate poi a diventare protagoniste del moto per la Libertà, e in altre zone del Piemonte, fu necessario far leva su valori monarchici, sabaudi, più vicini alle masse rurali da sempre lente ad accogliere i mutamenti politici. E fu poi necessario ricorrere alla mediazione di figure più amiche, più familiari, ai parroci di borgata e al piccolo clero delle pievi. 

La Libertà che vince sulle divisioni

E però vent’anni di fascismo, che se niente di catastrofico mai nulla di buono aveva portato alle Langhe, e mezzo secolo di guerre pesavano ormai un po’ su tutti. I giovani non conoscevano un mondo senza spari e i vecchi non lo ricordavano più. Il messaggio della Resistenza, infine, prese piede.

Varietà e unità delle formazioni partigiane

L’organizzazione della Resistenza fu specchio dei variegati sentimenti popolari. Le orecchie più sensibili optarono per Divisioni orientate ai valori socialisti, i più fedeli alle tradizioni del territorio scelsero comparti filo-monarchici e filo-sabaudi. Se proprio si deve credere in qualcosa, almeno che abbia origini piemontesi!

Brigate Matteotti, Giustizia e Libertà, Garibaldini e Autonomi. Tra difficoltà di comunicazione, scarsi approvvigionamenti e dispute perenni, le Langhe si riempirono di combattenti.

Brigate Matteotti, Giustizia e Libertà, Garibaldini e Autonomi. Tra difficoltà di comunicazione, scarsi approvvigionamenti e dispute perenni, le Langhe si riempirono di combattenti, ognuno con il proprio credo e colore, ma tutti infine uniti per lo stesso obiettivo.

Il difficile cammino verso il controllo del territorio

Con qualcuno più vicino a chi era destinato a definire il futuro (il CLN in testa) e qualcuno più propenso al dialogo con le amministrazioni locali, gradualmente si giunse a un capillare, se non sempre inattaccabile controllo del territorio.

I centri urbani più grandi non si poterono mai prendere e poi tenere fino al tramonto del nemico, ma la lotta non conobbe mai vera tregua, per poi giungere al suo apice, infine, in quell’aprile di ottant’anni fa. 

Aprile 1945: il mese della Liberazione

Se nel credere che tutto esplose e poi svanì il venticinque di aprile ci sbagliamo, anche la convinzione che la Resistenza si aspettasse di giungere al suo epilogo quando questo poi arrivò è una illusione.

La forza dell’invasore era in declino da mesi, anni forse. Eppure non si esauriva mai. 

Quando nessuno sapeva immaginare la vittoria

Ancora a marzo 1945 i partigiani e la popolazione civile non sapevano, aspettavano ma non osavano immaginare. Il nemico sembrava trovare sempre il modo di ricaricarsi, di riprendere il controllo. Meglio approvvigionato, meglio vestito e meglio armato, continuava la sua personale resistenza. 

All’una i fascisti mostrano un fazzoletto bianco e s’arrendono; li osserviamo con curiosità, più che con odio

Da mesi ormai ci si preparava all’insurrezione finale, da settimane si stilavano piani e si davano ordini preventivi alle Divisioni. Ma poi quando? Nessuno sapeva

L’aprile del ‘45, però, sembrava diverso. Le notizie positive e rassicuranti si susseguivano, gli eventi sembravano infine precipitare. La Germania era sul punto di arrendersi, Mussolini ormai si vociferava fosse in cerca di una via di fuga. Forse era davvero la volta buona. 

La rinnovata ondata di ottimismo scosse animi rattrappiti ma da tempo vigili. Ed ecco la sete di giustizia, e forse anche di vendetta, emergere tra la gente e nelle Divisioni. Nei primi giorni del mese l’impeto si fece inarrestabile, nella Tura si cantava “Tra pochi dì si cala al pian” e le Langhe fremevano e attendevano la chiamata finale.

Alba: simbolo della resistenza piemontese

Il 15 di aprile i partigiani accerchiarono Alba, simbolo locale della Libertà, già conquistata nel 1944 e poi perduta. L’episodio fu prova generale, palcoscenico per il grande evento finale. 

Le parole di Franco Foglino nel suo “Gioventù Partigiana” a proposito dell’azione su Alba ci riportano il fervore di quei giorni:

All’una i fascisti mostrano un fazzoletto bianco e s’arrendono; li si fa scendere, escono in fila. […] Li osserviamo con curiosità, più che con odio; sono giovani e per me pare incomprensibile che ci siano ancora dei giovani che non abbiano capito, che non sappiano di quali crimini si siano macchiati i nazisti e i loro poveri alleati fascisti, e s’ostinino a combattere per contrastare la marcia inarrestabile dell’umanità verso un mondo migliore di giustizia e di pace!

Franco foglino

Aldo dice 26 X 1: le Langhe a Torino

Nelle Langhe il venticinque di aprile arriva e passa in un lampo, ed è quasi interamente scandito da attesa. Il messaggio in codice tanto agognato è stato recapitato la notte precedente e il cielo si apre: “Aldo dice 26 X 1”, il ventisei di aprile è il giorno designato, il giorno X, le Divisioni sono chiamate a convergere su Torino, è tempo di insurrezione. 

Torino – Brigata Garibaldi

Come ben ha saputo raccontarci Foglino, quelle sono ore indimenticabili per chi le ha vissute, che scivolano via veloci come solo i momenti di felicità e ottimismo possono fare. Si ascolta la radio, si stappano bottiglie, si sventolano bandiere e fazzoletti, ci si azzarda a brindare al futuro che verrà. 

Giunti a Torino in una marcia quasi sempre trionfale e ben accolta dalla popolazione locale, i combattenti delle Langhe trovano una città diversa da quella che il nostro immaginario potrebbe invitarci a figurare. I tedeschi e i repubblicani sono in ritirata, ma è una fuga confusa, e quando incontra i vincitori diventa violenta e non priva di sangue versato. 

Torino tra paura, festa e giustizia sommaria

I torinesi hanno paura, temono ancora i cecchini nemici appostati a ogni angolo. E però quando possono sparano e colpiscono, riaffermando un senso di giustizia, seppur sommaria, diretto verso chi fino a poco prima li aveva ingiustamente trattati. I partigiani che giungono dalle campagne guardano, a volte condividono, a volte tentano di frenare, a volte provano già a immaginare un nuovo ordine, senza più sangue né violenza alcune.

Soldati tedeschi catturati dai partigiani della  Brigata Italia
Soldati tedeschi catturati dai partigiani della Brigata Italia – Verona

Le città rimaste ancora in mano al nemico si liberano tutte entro la fine del mese. Nella regione, Biella era stata la prima, ma la situazione si sbloccherà quasi ovunque nei giorni tra il ventisei e il ventinove di aprile, non senza cortei trionfali e piccole occupazioni improvvisate, e anche qui solo a seguito di scontri armati e fucilazioni dell’ultimo minuto che peseranno sui cuori di tutti. 

Nel capoluogo bisognerà aspettare gli albori di maggio per vedere le folle festanti e il senso di completa rinascita popolare le strade. Foglino ricorderà con affetto la Torino di quei giorni, dove il Piemonte intero si ritrovò per festeggiare la fine di decennali miserie. 

Oltre il 25 Aprile: ricostruire la normalità

La vittoria è sempre irrazionale contentezza. Quando però passa la frenesia del momento, le ferite tornano evidenti.

Come testimoniatoci anche dall’esperienza di Giorgio Agosti, grande protagonista della Resistenza locale, Torino e il Piemonte vissero mesi difficili dopo il tanto agognato venticinque aprile, anche se con nuova consapevolezza e tenace rifiuto di ogni guerra.

La vittoria è sempre irrazionale contentezza. Quando però passa la frenesia del momento, le ferite tornano evidenti.

Ma se una guerra nessuno la voleva più, il mondo a inizio estate del ‘45 assomigliava ancora molto a uno scenario bellico. Città devastate, paesi di campagna mal collegati, ponti saltati e amministrazioni da ricostruire. Era tempo per il partigiano combattente di farsi indietro, di poggiare le armi e accogliere la ritrovata pace.

Lo smarrimento post-bellico dei combattenti

Ma era ciò che tutti volevano? C’era tra le file della Resistenza chi non sapeva immaginare una vita diversa. Cresciuti tra la guerra e abituati a farla, alcuni partigiani faticarono ad ambientarsi nel nuovo mondo. E poi il nemico aveva seminato così tanto odio che ora non si finiva più di raccogliere.

La giustizia impiegò del tempo a legalizzarsi e normalizzarsi, e i vari CLN e PCI poterono incanalare i partigiani nel nuovo ordine non senza sforzo. 

Nelle Langhe, maggio fu tempo per sciogliere le formazioni, piangere gli ultimi caduti e iniziare il processo di ricostruzione, che nelle sue fasi più immediate e cruciali proseguirà almeno fino a settembre. Intanto, un nuovo apparato statale si andava formando, e una nuova era comune cominciava. 

Fenoglio, Foglino e gli altri: racconti dalla Resistenza

Se mai nessun libro o fotografia potrà restituirci interamente il senso di ciò che furono i giorni del venticinque aprile, di quei momenti che definirono un’epoca, alcune testimonianze sono così preziose da non poter essere trascurate. 

Beppe Fenoglio

Il grande Beppe Fenoglio, indiscusso portavoce della Resistenza nelle Langhe, ci riporta vari e importanti aspetti. Se nei suoi “Appunti partigiani 1944-1945” e nell’indimenticabile “Il partigiano Johnny” ci fornisce uno spaccato dell’esperienza partigiana nel territorio, in “La malora” ci regala un racconto delle Langhe nel primo Novecento e ci fa comprendere in quale contesto i combattenti per la Libertà dovettero farsi strada.

In “La paga del sabato”, invece, a fare da protagonista è lo smarrimento post-bellico, quello dei partigiani che, una volta finita la lotta, stentavano a ritrovare se stessi. 

Franco Foglino

E poi il già nominato Franco Foglino, che con il suo “Gioventù Partigiana” ci lascia un racconto grezzo, didascalico e talvolta un po’ ingenuo della sua esperienza nelle Langhe e poi della chiamata a Torino. Una lettura breve ma importante per comprendere meglio l’aspetto umano della Liberazione.

Davide Lajolo

E per approfondire ancora, le figure di Davide Lajolo, che in “Il voltagabbana” ci parla della sua Vinchio e di chi passò alla Resistenza dopo una parentesi fascista, o quella più tragica del cuneese Duccio Galimberti, ci offrono spunti inestimabili e meritano uno sguardo attento.