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Il sacro edificio sorge all’incrocio tra via Vittorio Emanuele (via “Maestra”) e via Paruzza, nel sito dov’era in origine la chiesa dell’ordine monastico degli Umiliati, anch’essa intitolata a S. Maria Maddalena (o Maria di Màgdala, discepola di Gesù Cristo, forse prima evangelizzatrice della Provenza francese e poi dedita all’eremitaggio).
Nel Medioevo l’isolato urbano (in seguito completamente occupato dal monastero delle domenicane) comprendeva la casa conventuale degli Umiliati («domus Umiliatorum Albe»), la commenda di S. Antonio abate (chiesa e ospedale documentati dal 1343) dell’ordine degli Antoniani.
LaStoria
Chiesa di Santa Maria Maddalena
Secondo un dato notificato dallo storico albese Giuseppe Vernazza (1745-1822), nel 1251 viene posta la «Pietra primaria per edificar la chiesa di S. M. Maddalena ad uso degli Umiliati in Alba intra fossatum burgeti».
Il primo priore, documentato nel 1253, è frate Rufino Cagnazerre. Ulteriori attestazioni documentarie di quell’ordine in città sono del 1365, 1465 e del 1573. Ancora in riferimento alla chiesa medievale («Nel borgo di Alba, nelle case della casa e chiesa di santa Maria Maddalena dell’Ordine dei Frati Umiliati del borgo di Alba») è la sentenza del 1365 per l’annuale pagamento della decima pronunciata dal frate Iacopo Mascaro «preposito della casa (Domus Dei) dei frati Umiliati di Asti». Risultano in quel documento gli Umiliati in città: frate Domenico Bogeno di Ceva preposito, i frati Bompetro Penacio e Pietro de monte di Gaurena.
Il nuovo monastero
Già nel 1446, dopo l’autorizzazione pontificia con Bolla del 1445 di papa Eugenio IV, viene benedetta dal vescovo di Alba mons. Alerino Rembaudi la pietra fondamentale del nuovo monastero di S. Maria Maddalena, affidato alle monache domenicane, su iniziativa di Margherita di Savoia (1390-1464), dal 1418 vedova del marchese Teodoro II del Monferrato e poi divenuta monaca terziaria domenicana dopo aver rifiutato la mano del duca Filippo Maria Visconti di Milano.
La cerimonia d’inizio lavori avviene nel cortile del palazzo marchionale, prossimo alla chiesa preesistente, che nel 1422 era stato concesso alla nobile dal figliastro Giangiacomo diventato effettivo marchese monferrino. Il sito viene prescelto poiché è all’interno del palazzo che è stato messo in diretta comunicazione con l’antico chiostro degli Umiliati. Margherita di Savoia-Acaia decede nel 1464, in spirito di santità. Dapprima il papa Pio V nel 1566 ne permette il culto alle monache del monastero albese.
Il Seicento
Il pontefice Clemente IX lo conferma nel 1669 e il successore Clemente X lo estende a tutto l’ordine domenicano nel 1671, fissando la festa annuale della beata Margherita il 27 novembre. Nel 1689-90 viene realizzato l’altare maggiore. Notevoli festeggiamenti in città avvengono nel 1693 per la reposizione delle spoglie mortali della venerabile, dopo una ricognizione episcopale nell’anno precedente, in una urna reliquiaria, donata dal duca Vittorio Amedeo II di Savoia. Il corpo della beata rimane esposto alla devozione nella chiesa conventuale fino al 2002, essendo trasferita nel nuovo monastero di clausura in strada Serre (a lei intitolato) per la conclusione della ricognizione canonica della salma, che lì è rimasta.
La chiesa di San Antonio Abate
La chiesa di S. Antonio abate, prima degli Antoniani, poi passata ai frati Umiliati sino al Cinquecento e successivamente assegnata alla Confraternita dei Pellegrini fino al 1656, risultava inclusa a lato del complesso conventuale. Venne ancora mantenuta con lavori nel 1638-1639, a cura dei confratelli. Un inventario delle suppellettili nella sacrestia di quel sacro edificio fu stilato nel 1646. Non è più esistente.
Il chiostro
Il chiostro del monastero viene ristrutturato verso il 1685-1690. L’impresa della ricostruzione del complesso monastico di S. Maria Maddalena inizia nel 1731, con i primi disegni di Bernardo Vittone revisionati dal conte architetto Carlo Giacinto Roero. I lavori, attuati dal 1733-1734 per il fabbricato del coro, terminano nel 1749 per la chiesa progettata dal Vittone. La sede cultuale viene consacrata dal vescovo di Alba mons. Natta dopo il 1750. Verso il 1785 sono effettuati lavori nel complesso conventuale, diretti dall’architetto Morari. Nel sacro edificio della Maddalena, nel 1789, l’architetto e conte Carlo Emanuele Rangone riceve dall’abate Girardi l’abito e la croce del cavalleresco ordine sabaudo di S. Maurizio. Il palazzo albese dei nobili Rangone era ubicato nella via Vittorio Emanuele (la via “Maestra”). Una loro tenuta era a Diano d’Alba e diverse proprietà a Montelupo Albese, di cui avevano pure il titolo nobiliare.
Il registro francese
Nel 1799 viene redatto dal governo francese un elenco di tutti i conventi piemontesi. Per il monastero della Maddalena di Alba è registrata la seguente situazione: «Monache Domenicane di Santa Maria Maddalena, 23 monache e 18 converse, 20.000 lire [reddito]». Ma, con successivi provvedimenti del governo imperiale, la sorte del convento cambia drasticamente: a seguito della soppressione napoleonica degli ordini monastici, nel 1802 le monache abbandonano il complesso conventuale. A quel tempo vi risultano presenti la badessa Angiola Teresa Inverardi, 24 professe e otto converse, in una situazione parzialmente diversa rispetto al 1799.
Dopo la chiusura del convento
Durante il periodo di chiusura, i fabbricati del complesso conventuale vengono affittati a privati, tranne la chiesa e il coro che sono affidati ai canonici Giuseppe Pollano e Carlo Pagliuzzi, poi da loro in parte riscattati anche con la cooperazione del conte Giovanni Battista Veglio di Castelletto, sindaco di Alba.
L'Ottocento
A seguito della Restaurazione sabaud, solo dopo complicate vicende burocratiche, nel 1817 un settore del convento viene restituito alle monache dal re Vittorio Emanuele I di Savoia. Nel 1824 l’intero complesso conventuale ritorna alle suore domenicane, su disposizione del sovrano Carlo Felice di Savoia. Nell’anno successivo l’urna con la salma della beata viene solennemente riportata nella chiesa, alla presenza del re e della consorte Maria Cristina di Borbone. Però nel 1882, nonostante talune opposizioni, la Municipalità di Alba requisisce definitivamente il complesso conventuale, applicando le norme della legge Siccardi; cosicché le monache di nuovo lo abbandonano definitivamente. Nel 1889, su progetto dell’ing. municipale Molineris, la manica del convento prospiciente via Vittorio Emanuele viene riedificata per insediarvi le scuole pubbliche.
Gli Esterni
Con tono acceso e convincente, il noto storico dell’arte tedesco Rudolf Wittkower (1906-1971) rammenta il suo estasiato incontro visivo con le opere in Piemonte di Bernardo Antonio Vittone.
Questi è l’architetto torinese (1705-1770) autore della chiesa di Santa Maria Maddalena ad Alba.
In effetti, le finalità stupefacenti e persuasive del barocco settecentesco hanno efficacia immediata, in una “spettacolarità” di soluzioni strutturali, spaziali e decorative davvero pregnante.
Ma per il Vittone queste caratterizzazioni s’accompagnano alla problematicità della collocazione delle costruzioni nel contesto urbano.
La facciata
Così la chiesa ex conventuale della Maddalena, nella centrale via Vittorio Emanuele (“Maestra”) ad Alba, è una presenza caratterizzante come pure integrata all’unisono.
La facciata in cotto (incompiuta) è ormai un riferimento determinante per le visuali dell’asse urbano, ma non troppo prevaricante; allo stesso modo il calore visivo del mattone “a vista” nelle sue articolazioni murarie è elemento attraente, ma alquanto discreto.
È proprio lo stesso architetto Vittone che direttamente, nelle sue Istruzioni Diverse, ci presenta difficoltà e caratteristiche del suo progetto per la chiesa della Maddalena, conclusa nel 1749.
I condizionamenti delle preesistenze urbane ed anche la forte suggestione derivata dalla necessaria presenza dell’altare maggiore (eretto nel 1689-1690 da Giuseppe Maria Carlone e da Francesco Piazoli di Torino) con l’urna del corpo della Beata Margherita di Savoia-Acaia, hanno giocato un ruolo determinante nell’ideazione vittoniana.
Questo suo lavoro ad Alba segue, in esecutiva sequenza cronologica, la chiesa di S. Chiara a Torino (1745) e la chiesa parrocchiale di Foglizzo (1748), precede l’omonima chiesa a Vercelli (1750), quella di S. Antonio abate a Torino (1750) e quella di S. Maria Assunta a Carignano (pure del 1750), intercalate dai suoi disegni progettuali per il convento e la chiesa di S. Maria Maddalena a Mondovì (1749) e per una cappella nell’Annunziata di Torino (anch’esso datato nel 1749).
La parziale soluzione della facciata della chiesa albese (l’edificio non fu completato esternamente) ha presenza sinuosa e ricercata, di derivazione borrominiana e più direttamente guariniana.
D’altronde, una persistenza nell’edilizia religiosa del Vittone è il movimento concavo-convesso. I riferimenti precedenti a cui confrontare il prospetto del sacro edificio ad Alba possono essere quello del palazzo Carignano di Guarino Guarini (eretto nel 1679-1685) a Torino e soprattutto il fronte principale della chiesa torinese dell’Immacolata Concezione, ancora del Guarini (edificata in più fasi tra il 1673 e il 1697).
Le conformazioni murarie, che dovevano ricevere il rivestimento in lastre lapidee, segnano in regolari contrasti di chiaroscuro allineamenti, sporgenze, elementi verticali ed orizzontali.
Le geometriche “aperture”, simmetricamente disposte, appaiono come altrettante pause nel continuo rettifilo dei mattoni. Solo la decoratività, l’ampio scuro del portale e della lunetta centrale nella facciata spezzano tali orizzontamenti, mossi dalla sinuosità complessiva e dall’intercalare delle lesene.
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Gli Interni
L’interno del sacro edificio è di forte suggestione, esplicitamente indicativo della pregevole planimetria progettuale.
L’aula è a pianta complessivamente rettangolare, ma con il prevalente ellisse della cupola. La struttura è allungata poi nell’ampio coro (anch’esso pressoché rettangolare, progettato con l’architetto Carlo Giacinto Roero conte di Guarene e Vezza).
Internamente è fiancheggiata dalla cappella della Beata Margherita e da un altare laterale. Il voluminoso ambiente è dominato dalla cupola ellittica; così pure ovata (ma di ben minori dimensioni) è la volta sovrastante il presbiterio.
I principali problemi spaziali all’interno, il vasto ambiente con la volta in forma ovale ed il rapporto con il considerevole coro in parte preesistente, sono risolti dal Vittone con impianti planivolumetrici distinti, schermati (come richiesto dalla clausura monastica) dal monumentale altare maggiore e dalle grate in ferro battuto che attenuano pure, sino quasi ad annullarla visivamente, l’irregolarità di andamento obliquo dell’asse di via Paruzza.
La luce penetra dalla lanterna centrale, irradiandosi tutt’intorno sino alla penombra della cappella della beata Margherita di Savoia, che costituisce uno “sfondato” laterale nell’ambito uniforme del ritmo avvolgente della grande cupola affrescata dal Milocco.
Pure dipinte “a fresco” sono la volta ovata del presbiterio (la cui ideazione architettonica complessiva si eleva ad ulteriore pregio) e quella, sensibilmente percorsa da tre sguanci laterali per le finestre, del vasto coro che però è opera progettuale del 1732-1734 in collaborazione con il conte architetto Carlo Giacinto Roero (1675-1749), decorata da altri artisti.
Il complesso dell’ex monastero femminile della Maddalena s’inserisce con perentorietà dimensionale nel tessuto urbano della città.
Il vasto cortile attuale, delimitato da maniche costruite sui 2/3 del perimetro ad altezza costante (due piani fuori terra con portici), era suddiviso da una manica interna che determinava due ampi cortili collegati tra loro attraverso rispettivi porticati ed anditi.
Più ampio risultava il primo, di clausura e rappresentanza; mentre il secondo era destinato alle attività di servizio.
Conseguentemente alla demolizione ottocentesca della divisoria manica intermedia, si rivela una vasta superficie conchiusa, quasi una piazza quadrangolare, sulla quale si affaccia pure, alla stregua di un fondale novecentesco, il fabbricato (rivolto anche verso via Accademia) eretto in fasi diverse tra il 1932 ed il 1937 su susseguenti progetti del geometra Cesare Borgi.
Introdotti dal portone ligneo settecentesco (con 18 pannelli scolpiti in noce, dove i due maggiori recano al centro l’insegna delle tre frecce incrociate, simbolo legato alla devozione della beata Margherita di Savoia), si accede direttamente alla navata ellittica.
Gli affreschi
L’attenzione del visitatore è sicuramente attratta dai grandi affreschi nella cupola ovata. Questo vasto e “spettacolare” dipinto a fresco è opera del pittore torinese Michele Antonio Milocco (1690-1772), realizzata verso il 1748-1749.
Il Milocco (o Milloc), autore di grottesche a Palazzo Reale ed a Villa della Regina a Torino, verrà poi chiamato ad Alba nel 1760 ad illustrare la Gloria di San Teobaldo nella cappella dedicata al santo nella cattedrale.
Qui nella chiesa della Maddalena è la Gloria della Beata Margherita il tema ampiamente sviluppato per la spaziosa superficie ellittica, con soluzioni compositive dinamiche, allusive, popolose di figure singole od a gruppi, in un vortice barocco davvero grandioso.
Le volte
Così pure la volta ovata del presbiterio è attribuita, non senza incertezze, allo stesso Milocco. L’affresco, con minore enfasi è di più modeste dimensioni, illustra il Trionfo di Santa Maria Maddalena, ripetendo il consueto schema compositivo a circonferenze concentriche di nubi e figure.
Più convincenti, di notevole effetto scenografico, sono le grandiose prospettive barocche sulla volta del coro, concluse nel 1734 dal pittore Giacomo Guglielmo Rapa (o Rappa), in precedenza impegnato sia nel castello guarenese, sia nella volta della chiesa della SS. Annunziata sempre a Guarene.
Qui nell’opera ad Alba, nell’ampia superficie dipinta, delimitata da un forte cornicione, oltre alle complesse quadrature ed a taluni motivi rocaille si possono individuare quattro angioletti in monocromia in rispettivi ovali, che presentano rispettivi simboli di S. Maria Maddalena e della beata Margherita di Savoia.
Invece gli affreschi sulle pareti del medesimo vano sono databili intorno alla metà del Settecento ed assegnate ai pittori Matteo e Francesco Casoli di Guarene (Francesco,1704-1766, attivo anch’egli nel castello guarenese nel 1729-1730 e forse ancora nel 1752-1753).
Sempre l’ampio ambiente del coro ospita quarantotto ricercati stalli in legno di noce, con braccioli decorati a volume, inginocchiatoi e schienali intarsiati con motivi a croce, a conchiglia ed a punta di diamante. È pregevole opera settecentesca d’autore ignoto.
Il crocifisso
In alto, sulla tribuna verso la parete di fondo, è ben visibile il grande Crocifisso in legno di noce, contrassegnato da residue, ampie zone con stucco originale per la policroma pittura preesistente. È un lavoro pregevole, un massimo vertice della statuaria tardogotica nell’Albese e nell’intera provincia cuneese.
Il Crocifisso proviene dal sepolcreto sotterraneo del convento ed è opera di uno scultore lombardo, databile nel 1440-1450. Venne restaurato nel 1969 a cura della competente Soprintendenza statale, con operazioni di ripulitura, risarcimento integrale del legno e consolidamento della superficie parzialmente dipinta.
All’opposto, nel settore del coro direttamente retrostante all’altare maggiore della chiesa è collocato centralmente un grande quadro seicentesco, d’autore ignoto, in cui sono raffigurati Gesù Cristo e Santa Maria Maddalena.
Tornando nella chiesa, va ammirato l’altare maggiore, realizzato nel 1689-90 ad opera dei «Capi Mastri di pica pietra» Giuseppe Maria Carlone e Francesco Piazoli, torinesi ma di rispettive famiglie “luganesi”.
Interlocutore al contratto d’appalto per tale lavoro, in rappresentanza delle monache conventuali, è l’albese Francesco Domenico Barisano, medico di casa Savoia ed autore del libro Vita della B. Margarita di Savoia Marchesa di Monferrato detta la Grande, edito nel 1692.
La pala sull’altare maggiore
Inoltre, nella chiesa sono degne d’attenzione:
- la pala sull’altare maggiore (donata da re Carlo Felice di Savoia nel 1825), raffigurante Santa Maria Maddalena e realizzata dal pittore torinese Giovanni Battista Biscarra (1790-1851);
- le ottocentesche statue ai lati dello stesso altare, raffiguranti La Beata Margherita monaca e Sant’Agnese da Montepulciano;
- l’urna tardo-impero in argento sbalzato (notevole dono di Maria Cristina, vedova del re Carlo Felice di Savoia), realizzata nel 1840 dall’orefice torinese Pietro Borrani su disegno dell’ingegnere Alfonso Dupuy e collocata dietro l’altare della cappella laterale della beata sabauda, al di sopra della precedente urna seicentesca;
- la pala settecentesca, d’ignoto pittore piemontese, sull’altare laterale di S. Rosa, in cui sono raffigurati la Madonna col Bambino, San Domenico, San Vincenzo Ferrer, Santa Rosa da Lima ed angeli.
Infine, è notabile il ricercato portoncino ligneo settecentesco, all’esterno su via Paruzza.
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