Tra i maggiori eventi artistici che si annoverano in Piemonte durante gli anni ’50 del Novecento, è certamente da rilevare nel 1955 la fondazione ad Alba del Laboratorio sperimentale di esperienze immaginiste, quale locale componente ideativa del Movimento internazionale per una Bauhaus immaginista, con notevoli sviluppi successivi.
L’iniziativa teorico-pratica avviene inizialmente ad opera di Pinot Gallizio (*1902-†1964), che ospita il Laboratorio nella propria casa di famiglia, Piero Simondo (incontrato nel 1953) ed Asger Jorn (conosciuto ad Albissola Marina nel 1954).
L’anno seguente, sempre ad Alba, si svolge il I Congresso mondiale degli artisti liberi, organizzato da Gallizio, Simondo, Jorn, Baj, Sottsass jr. e Verrone. Contestualmente viene stampato in città il primo numero della rivista culturale “Eristica”.
Al convegno prendono parte, oltre agli organizzatori (tranne Baj), Constant, Debord, Wolman, Calonne, Garelli, Olmo.
Negli anni successivi, fra il 1957 e il 1959, si aprono occasioni di sviluppo concettuale e di elaborazioni espressive: il testo Tecnica dei colori nel barocco (brut-dry), l’inizio della Pittura industriale e il suo “Manifesto”, la fondazione del movimento Internationale Situationniste, e varie altre sperimentazioni politico-culturali, incontri significativi, mostre.
Gallizio: Vincende Umane & Vicende Artistiche
Basterebbero queste notazioni in quel primo periodo, già escludendo molte esperienze di rilievo che andrebbero pure annoverate, ad evidenziare l’importanza di Gallizio quale figura d’artista d’avanguardia e di teorico per un rilevante settore dell’arte informale in Piemonte, con riflessi in Italia ed all’estero.
Elaborazioni di pensiero e realizzazioni pittoriche lo contraddistinguono per circa un decennio, fino al suo decesso nel 1964.
Vicende umane e vicende artistiche lo caratterizzano in una multiforme esperienza di vita, di cultura, d’impegno sociale davvero considerevole per la città, nonché per vari ambienti di dibattimento politico ed artistico in Piemonte, in Liguria (Albissola, Cosio d’Arroscia), come pure all’estero.
Ad Alba sono osservabili, in permanenza, dipinti di Gallizio nel salone consigliare del Palazzo Comunale, nel Centro studi “Beppe Fenoglio”, nel Teatro Sociale, nella sala conferenze “Beppe Fenoglio” del complesso della Maddalena.
Fra i numerosi e importanti lavori esposti in mostre salienti, pubblicati ed esaminati ormai da molti studiosi qualificati (quali, i rotoli della Pittura industriale, il ciclo della Gibigianna, la serie Oggetti e spazi per un mondo peggiore, il ciclo La storia di Ipotenusa, il Diario emozionale, l’inquietante Anticamera della morte e tanti altri), a solo titolo di esempio, se ne possono prendere in esame due.
Concepiti da Gallizio in rispettivi periodi creativi, entrambi sono stati esposti, oltre che in notevoli sedi diverse, in mostre a Torino nel 1974 e nel 1990.
La Caverna dell’Antimateria
Realizzata dall’artista albese tra il 1958 e l’anno successivo, la Caverna dell’Antimateria viene presentata al pubblico per la prima volta nella Galleria parigina di René Drouin nel maggio 1959.
L’ampio ambiente dipinto, indicato dallo stesso autore come «pittura industriale d’ambiente», secondo un testo di Enrico Crispolti è «una nicchia per un gesto totale».
L’intensa ed inquietante struttura pittorica, concepita come una sorta di vano quadrangolare totalmente dipinto, si presenta quale eruzione magmatica e totalizzante, significativa dei più reconditi rivolgimenti del subconscio.
Antro degli stati crepuscolari e tenebrosi della visionarietà, luogo evocativo dove perlustrare le viscere dell’“antimateria”, la Caverna galliziana non è certo da “esplorare” seguendo soltanto impulsi emozionali di stupore od incertezza.
Lo stesso artefice così annota in una lettera del 1958 al gallerista Drouin, durante la realizzazione:
La pittura è atomizzata, letteralmente disintegrata – bombardata effettivamente non a parole generando sui fondi delle variazioni in toni lisci e scuri, sovrapposte a materia in eruzione come una lava verde-muffa, bordata anzi slabbrata in gialli-zolfo, un colore da reazione instabile e continuamente in moto come i ghiacciai. Velato nei gialli-cromo vecchia-cera, chiazzati e sprizzati in focolai di luce stellare – su tutti i fondi scuri che si possono immaginare. Dai neri-verdi bleu grigi-marrone mattone e tutti gli imprevedibili toni – e contrasti – io sono sicuro – e gli effetti piaceranno a molti non dico a tutti – come p. es.: una macchia nero grafite opaca con segni lucidi di nero avorio -: contrasto nero, bleu carta zucchero su marron sbordato in rosso carminio ecc. Violenza – Violenza! In sombre infernale con una luce siderale di stelle morte…
Pinot Gallizio
La complessa elaborazione non è soltanto improntata dalla pittura informale, seppure ne sia la componente principale.
Nel progetto originario interagiscono con l’espressione pittorica una compresenza olfattiva (profumi resinosi a base d’erbe) ed una musicale (impiego del “terminofono”, realizzato da Walter Olmo, collocato posteriormente alle superfici dipinte).
L’effetto complessivo è l’environment d’elaborazione artistica, che alcuni importanti studiosi (Bandini, Barilli, Gioioso, Levi, Bertolino ed altri) accostano al mito della caverna di Platone, a certi scritti di Mircea Eliade oppure a luoghi di ritualità indigene.
Dalle ambientazioni fenomenico-percettive degli anni ’50 del Novecento (Fontana, Klein, Gallizio, Cage ed altri) derivano in qualche misura, in una “linea di riduzione”, alcune esperienze d’arte determinanti nei decenni successivi.
Le “Notti di Cristallo”
Delirio onirico e riconduzione al passato epocale invece permeano gli impulsi creativi delle due Notti di cristallo, dipinte da Pinot Gallizio nel 1962. La «libera, imprevedibile creatività ad alto potenziale ch’è nel ciclo delle Notti: con il recupero d’ogni spirito narrativo», secondo un testo del 1990 di Angelo Dragone, si sprigiona progressivamente nelle ore buie sino alla conclusiva, del tutto sperimentale Notte cieca.
Si tratta dell’opera realizzata dall’artista bendato, quindi non osservante durante l’azione creativa. Propone un esito inconscio, inconsapevole del “fare”.
I vari cicli pittorici che impegnano Gallizio dal 1960 al 1963, anch’essi non illustrano verosimilmente, semmai narrano di forme e materia, di segni dilatati su grandi superfici; magari alludono a racconti fiabeschi od all’immaginario individuale dell’autore.
Le Notti mostrano lo sperimentalismo estremo oppure l’immersione visionaria in un passato remoto, rievocato dalla pittura informale per sensazioni forti ed affascinanti.
La ricognizione archetipica di un universo arcaico si stempera nella Notte etrusca mediante la prevalente tecnica a spruzzo del colore (che, peraltro, segue in parte l’impiego precedente nell’Antimateria). Rispetto ad altre opere ne risulta un richiamo più soffuso, quasi “romantico”, al riaffiorare di un mondo perduto nel plurisecolare trascorrere del tempo.
Dall’evocata antichità remota alla sperimentazione pittorica degli anni ’50 e ’60 la forte espressività di Gallizio lì permane in un fascinoso collegamento che trasvola in un legame imprevedibile.