Ingredienti
- burro gr 50
- quattro cucchiai di olio
- un gambo di sedano
- un rametto di rosmarino
- tre grosse cipolle
- cinque o sei etti di trippa
- quattro otri di acqua di pozzo
- sale
- pepe
- tre patate
- un cucchiaio di salsa di pomodoro
- parmigiano grattugiato
Cosa serve
- un tegame di terracotta
- una mezzaluna
- un tagliere
- un coltello
- un mestolo
- una pentola
Procedura
In un tegame di terracotta si mettono a soffriggere 50 grammi di burro e quattro cucchiai di olio. Si aggiunge un gambo di sedano ed un rametto di rosmarino finemente tritati.
Dopo tre o quattro minuti si aggiungono tre grosse cipolle tagliate a fettine sottili.
Si fa cuocere a fuoco moderato fino a che le cipolle assumano un bel colore dorato. Si prendono 5 o 6 etti di trippa “mille fogli”, si taglia in piccole liste e si lavano queste ultime in acqua tiepida.
Si asciugano e si aggiungono alle cipolle, amalgamandole insieme.
Si lascia insaporire, si sala e si pepa. A parte, si mette al fuoco una pentola con quattro litri di acqua salata.
Si porta ad ebollizione e vi si versa contenuto del tegame di terracotta, più due o tre patate di me- dia grandezza e un cucchiaio di salsa di pomodoro: quindi si lascia bollire per circa due ore e mezza.
A cottura ultimata, si schiacciano le patate, si rimesta e si serve con parmigiano grattugiato stagionato dolce.
Curiosità
Ad Alba il mercato si svolgeva il sabato e dilagava per vie e piazze in una esaltante ostentazione di tutti i prodotti delle nostre colline, degli orti, delle stalle, dei cortili, dei frutteti: vitelli e pollame, uova e tome, frutta e verdure, nel rispetto sacrosanto delle stagioni, senza l’appiattimento delle colture forzate.
Soltanto nel periodo della vendemmia gli “arbi” alcuni giorni della settimana occupavano piazza Savona, più tardi anche piazza San Paolo e soprattutto l’intera corona della circonvallazione, uno a ridosso dell’altro in paziente attesa del compratore per ore, a volte fino a notte, sotto l’ultimo sole settembrino o sotto una pioggia fastidiosa, fredda, che ticchettava sulle coperture dei carri e penetrava a poco a poco oltre le brevi mantelline dei vignaioli, a volte ancora residuo delle misere dotazioni dei fanti e degli alpini della prima guerra mondiale.
Nelle giornate serene quella corona di carri sembrava un’ideale celebrazione della nobiltà della “capitale delle Langhe”; nei giorni grigi e nebbiosi un riflesso della faticosa, scarna, spesso sconfortata vita delle nostre campagne.
Quei giorni di mercato erano, si può dire, anche le giornate della trippa: gli alberghi e le osterie, assai numerose allora quasi in ogni angolo, la servivano – fin dal primo mattino e poi via via fino a mezzogiorno – in grosse scodelle fumanti ai loro clienti seduti ai tavoli ed a quelli sparsi tra i banchi ed i banchetti di vendita.
Calda e gustosa, la si assaporava lentamente, seduti o anche solo accovacciati, tenendo la grossa scodella, bianca o più spesso a fiorami blu, appoggiata sulle ginocchia.
Una scodella costava pochi soldi o, più tardi, poche lire, offriva un nutrimento consistente, nel quale alcuni intingevano grossi bocconi di pane – quel pane! – e bastava fino a sera, quando ognuno se ne tornava a casa, alla polenta o al minestrone di casa.
Un bel giorno la trippa s’inserì anche nel gioco elettorale.
Si parla (verità o leggenda?) di mezzi biglietti da cinque lire offerti all’elettore, ricomposti poi con l’altra metà a vittoria raggiunta, di scarpe destre allo stesso modo riunite alle loro compagne di sinistra se il candidato veniva eletto; è cosa certa che i voti si cercavano, si ottenevano e si premiavano con una scodella di trippa offerta all’elettore per ingraziarselo o per ricompensarlo.
A chiarire le idee o a dimostrare l’estrema generosità dell’offerente (spesso un galoppino occasionale), nella scodella si versava anche un bel bicchiere di vino. Un piatto quindi molto popolare questo della trippa, ben inserito nel nostro costume e, per i suoi sapori e la sua sana consistenza, degno di trovare, di tanto in tanto, posto sulla nostra tavola.