Arte e cultura
Nessuno resti indietro Un progetto per costruire comunità educanti in Alta Langa

Come si costruisce una comunità educante in un territorio fragile come quello dell’Alta Langa? Come si può partire dall’ascolto delle bambine e dei bambini per immaginare nuovi spazi, relazioni e possibilità condivise?
Nessuno resti indietro è un progetto nato proprio da queste domande. A promuoverlo è il Circolo Arci Cinema Vekkio di Corneliano d’Alba, un’associazione di promozione culturale ed educativa attiva da oltre vent’anni, in collaborazione con l’associazione Ambiente & Cultura e con il coinvolgimento diretto degli Istituti Comprensivi di Bossolasco-Murazzano e Cortemilia-Saliceto.
Mettere al centro bambine, bambini e adolescenti, riconoscendoli come cittadini a tutti gli effetti, portatori di bisogni e desideri concreti.
Il cuore del progetto è chiaro: mettere al centro bambine, bambini e adolescenti, riconoscendoli come cittadini a tutti gli effetti, portatori di bisogni e desideri concreti. Attraverso laboratori, assemblee, mappature partecipate e incontri pubblici, si è attivata una rete di scuole, famiglie, insegnanti, educatori e realtà locali, con l’obiettivo di far emergere – e realizzare – le idee dei più giovani per una comunità più aperta, inclusiva e sostenibile.
In questa intervista abbiamo raccolto le voci di chi ha ideato, vissuto e portato avanti in prima persona questa esperienza: Giorgio Crana (presidente e responsabile del Cinema Vekkio), Claudio Gorlier e Alberto Contu (educatori professionali e fondatori di Cultura in movimento). Un racconto a più voci, tra entusiasmo, sfide, sogni e possibilità concrete per il futuro delle nostre comunità.
Giorgio — Il nostro circolo, Cinema Vekkio, esiste dal 1998 e, con il passare degli anni, abbiamo iniziato a interrogarci sul senso del lavoro educativo che stavamo svolgendo a Corneliano e Piobesi. Nel 2016 il nostro metodo — frutto di anni di lavoro di strada e di tante esperienze condivise da Alberto e Claudio — ha preso forma con un nome: Cultura in movimento. L’anno successivo, soddisfatti del percorso intrapreso, abbiamo deciso di uscire dalla nostra zona di comfort e di portare quel metodo altrove.
Da lì abbiamo iniziato a operare in nuovi contesti: tra questi, anche la gestione della biblioteca di San Damiano. In Alta Langa avevamo già partecipato ad altri bandi, ma quando si è presentata l’occasione di partecipare a un nuovo progetto dedicato all’infanzia – sempre una sfida interessante – ci siamo attivati subito.
In particolare, avevamo già avuto una bella esperienza con un bando nazionale promosso da Arci. Sapevamo che, pur essendo percorsi complessi, quelli con i più piccoli possono generare risultati significativi. Così abbiamo presentato una proposta all’Istituto Comprensivo di Bossolasco e Murazzano, che già manifestava la volontà di costruire una comunità educante sul territorio.
L’idea ha trovato riscontro e si è riusciti a coinvolgere anche l’altro istituto comprensivo dell’Alta Langa, quello di Cortemilia-Saliceto. Ci ha aiutati anche una segnalazione preziosa: quella di Marina, insegnante e nostra storica volontaria, che lavora proprio a Bossolasco e Murazzano.
Da lì abbiamo coinvolto anche altre realtà, come l’associazione Ambiente e Cultura. È partito un lungo lavoro di co-progettazione che ci ha portati a definire la proposta, partecipare al bando, vincerlo e infine iniziare le attività.
Oggi, dopo due anni, possiamo dire di aver costruito una vera e propria comunità: una squadra fatta di adulti, ma anche di moltissimi ragazzi e ragazze delle scuole secondarie di primo grado. Un risultato reso possibile grazie al lavoro di Alberto e Claudio. Ora ci prepariamo a entrare nel terzo anno.
Alberto — L’obiettivo, nello specifico, è quello di creare quella che viene definita una “comunità educante”. Di solito, con questa espressione si intende una rete di adulti e associazioni che si occupano di educazione, socialità e giovani.
Abbiamo cercato di andare oltre la definizione tradizionale di “comunità educante” facendo sì che ragazze e ragazzi non siano soltanto destinatari, ma veri protagonisti del progetto.
ALBERTO cONTU
Noi, come accennava Giorgio, anche grazie a relazioni consolidate e a qualche spunto arrivato dall’esterno, abbiamo cercato di andare oltre questa definizione più tradizionale facendo sì che bambine, bambini, ragazze e ragazzi non siano soltanto destinatari, ma veri protagonisti del progetto.
Uno degli assi fondamentali è infatti il metodo dell’inchiesta educativa, che portiamo avanti insieme a loro, per attivare processi democratici, educativi e sociali, a partire dalle loro riflessioni e bisogni.
Claudio — La nostra posizione è chiara, e la dichiariamo fin da subito: consideriamo i ragazzi soggetti attivi, cittadini a pieno titolo, esattamente come gli adulti. Ecco perché ci sembrava coerente — e soprattutto efficace — partire dal loro punto di vista per capire quali fossero le reali esigenze della comunità educante, in questo caso del territorio dell’Alta Langa.
È una zona che conosce fenomeni di abbandono, collegamenti scarsi tra paesi, e sempre meno spazi e proposte per i giovani.
Invece di costruire una rete di adulti che propone attività “a cascata” — un modello che spesso genera un eccesso di iniziative poco incisive — abbiamo scelto volutamente di partire dai ragazzi, dalle loro idee, per cercare di rivitalizzare davvero questa comunità.
Claudio — Il punto di partenza, quello da cui iniziamo sempre, è l’approccio che adottiamo nelle classi — in questo caso, il 90% del tempo lo abbiamo passato proprio lì.
Nel primo anno abbiamo realizzato un percorso educativo articolato: abbiamo svolto circa quattro incontri con un totale di dieci classi appartenenti ai due istituti comprensivi (dalla prima alla quinta elementare), oltre a due doposcuola. In tutto, abbiamo coinvolto circa 250–300 ragazzi.
Il lavoro è iniziato con un’inchiesta sui luoghi del cuore, quegli spazi vissuti ogni giorno dai bambini e carichi di significato. Ciascun luogo è stato da loro rappresentato in una cartolina e raccontato attraverso storie personali. Ne è stata anche creata una mappa, nonostante questi spazi non sempre sono mappabili.
In parallelo, il gruppo Ambiente e Cultura ha realizzato la Grande Mappa dei Tesori dell’Alta Langa, una cartina più classica, pensata per adulti, bambini, insegnanti e figure educative. Qui sono raccolti contenuti, esperienze e risorse didattiche emerse durante il progetto, con l’idea di offrire un punto di riferimento condiviso.
In seconda battuta, durante un’assemblea i giovani si sono attivati partendo da un gesto simbolico ma potente: hanno scelto di rivolgersi al mondo degli adulti con una sorta di appello collettivo — un “ascoltateci, abbiamo qualcosa da dire”. Da lì sono nati 22 slogan, trasformati in striscioni che esprimevano desideri e richieste.
Quegli slogan si sono evoluti in plastici, progetti concreti di spazi, eventi e attività che oggi mancano nei loro paesi, ma che vorrebbero vedere realizzati. Un passaggio decisivo, che ha anticipato la creazione dell’assemblea e l’emersione di quattro temi centrali, poi approfonditi nel secondo anno.
Alberto te li saprà elencare sicuramente meglio di me… (ride)
Un centro pedagogico e culturale, un “Taxi di Langa” per incontrarsi tra paesi, più attenzione all’ambiente e spazi dove riscoprire i mestieri di una volta: sono questi i desideri dei giovani dell’Alta Langa.
Alberto — Sì, allora: il primo è il desiderio di un centro pedagogico e culturale. Non si tratta di costruire qualcosa di nuovo, ma di riutilizzare uno spazio esistente (un’aula scolastica o una sala comunale) che possa diventare un punto di riferimento per le ragazze e i ragazzi.
Il secondo è quello che abbiamo chiamato il “Taxi di Langa”: la difficoltà di spostarsi tra comuni limita le occasioni di incontro. I ragazzi hanno immaginato un sistema che li aiuti a muoversi e a restare in contatto.
Il terzo riguarda l’ambiente, vissuto come spazio attivo e relazionale: ci si gioca, si va in bici, si fanno esperienze. Non è solo uno sfondo, ma parte integrante della vita quotidiana.
Il quarto punto riguarda la riscoperta dei saperi manuali: laboratori dove imparare attività concrete, dalla meccanica alla cucina, dai ravioli agli attrezzi.
Alberto — Sì, su questi quattro temi stiamo già coinvolgendo adulti e realtà del territorio, perché il nostro vuole essere un progetto operativo, non solo una fotografia della situazione. Ecco perché consideriamo la mappa uno strumento di dialogo, più che un semplice mezzo di documentazione: serve a costruire connessioni, non solo a raccontare.
Un altro aspetto fondamentale sono stati i momenti formativi rivolti alla comunità, in particolare ai genitori. Abbiamo organizzato delle serate con esperti esterni: pedagogisti, educatori, sociologi. Abbiamo parlato di comunità educante, dialogo intergenerazionale e metodo dell’inchiesta.
Alla fine del primo anno abbiamo anche invitato un sociologo esperto di aree interne, per offrire uno sguardo esterno ma radicato sulla realtà di territori come l’Alta Langa, perché — come avrai capito anche tu — il nostro lavoro non è proporre un’idea astratta di comunità: lavoriamo concretamente su quello che c’è, sulle sue risorse, ma anche sulle criticità, partendo dal fatto che in quei territori le persone ci abitano davvero.
L’obiettivo è che la comunità educante trovi il modo di portare avanti il progetto anche oltre la scadenza del bando, magari cercando nuove risorse o opportunità.
CLAUDIO gORLIER
Dopo due anni e mezzo, stiamo riflettendo su come dare continuità a tutto ciò che è nato. Abbiamo costituito l’assemblea — composta da rappresentanti delle classi, delle associazioni e del mondo adulto — che sta lavorando per tradurre i temi emersi in azioni concrete. E ci chiediamo: “come possiamo rendere questi percorsi sostenibili nel tempo e trovare le risorse per farli crescere?”.
Claudio — Anche perché, formalmente, il progetto si concluderà a novembre. A maggio abbiamo organizzato un evento pubblico per condividere quanto emerso: è stato un momento importante, che ha reso visibili i contenuti emersi dal lavoro collettivo. A settembre ci incontreremo di nuovo per una grande assemblea conclusiva.
L’obiettivo è che la comunità educante si prenda carico di queste istanze e trovi collettivamente il modo di portarle avanti, anche oltre la scadenza del bando, autoalimentandosi, magari cercando nuove risorse o opportunità. Non vogliamo che il progetto si esaurisca.
Alberto — Adesso, da parte dei genitori, abbiamo notato attenzione e partecipazione reali, si comincia a percepire una presa di consapevolezza: “Ah, ma ci sono questi temi, queste questioni…”. C’è poi tutto il mondo delle associazioni, delle scuole, degli insegnanti.
Un aspetto fondamentale è stato riuscire a unire la didattica scolastica con il nostro approccio di pedagogia sociale.
Alberto Contu
Un aspetto fondamentale è stato riuscire a unire la didattica scolastica con il nostro approccio di pedagogia sociale. Non è mai facile, perché ci sono tempi e logiche diverse, ma nonostante le difficoltà, il dialogo è avvenuto. Questo per noi è molto importante.
Claudio — In effetti, su questo abbiamo avuto anche un po’ di fortuna: nell’Istituto Comprensivo di Bossolasco e Murazzano c’è Bruno Bruna, un dirigente scolastico davvero illuminato. Nei suoi istituti, i progetti non vengono vissuti come un mero adempimento burocratico da chiudere con una relazione finale, ma come percorsi reali di crescita. Questo approccio si riflette sugli insegnanti, che sono più coinvolti e partecipi.
Anche con le associazioni locali, come la biblioteca o la Pro Loco, esistono delle collaborazioni che vorremmo potessero continuare.
Dal punto di vista istituzionale, le amministrazioni locali non hanno ancora avuto un ruolo attivo, se non in occasione dell’evento finale del secondo anno, dove erano presenti e rimaste colpite dalla quantità e qualità del lavoro svolto.
Dobbiamo capire come trasformare tutta questa progettualità in un vero e proprio tavolo di confronto con le istituzioni, per portare avanti ciò che è emerso in modo strutturale. Come dice sempre Alberto (ride, e ride anche Alberto), dobbiamo “mettere a sistema gli attraversamenti”: trasformare le connessioni che abbiamo costruito in qualcosa di duraturo.
Alberto — Se parliamo del “mondo dei sogni”, devo dire che in parte alcune scuole lo stanno già facendo. Penso, ad esempio, a Bruno Bruna che sta lavorando a un nuovo patto educativo con una fondazione bancaria. Ma penso anche a noi: questo lavoro non è destinato a disperdersi. Anzi, stiamo cercando di inserirlo in nuove possibilità di finanziamento per farlo proseguire.
Se guardo al futuro ideale, immagino un’evoluzione che coinvolga l’intera comunità.
Alberto Contu
Se guardo al futuro ideale, immagino un’evoluzione che coinvolga l’intera comunità: ad esempio, i 20 comuni dell’Alta Langa che decidono, in base alle loro possibilità, di sostenere alcune delle attività emerse con questo progetto.
Oggi siamo ancora in una fase interlocutoria, ma vedo tutto questo come uno scenario possibile. Tu mi hai chiesto del nostro mondo dei sogni, e quello è: non solo “mettere a sistema”, ma farlo in modo reale, pratico. Ci stiamo lavorando, ma non ci siamo ancora arrivati.
Claudio — In effetti, ci hai percepiti come ottimisti, ed è vero. Ma lo siamo perché siamo molto soddisfatti del percorso. Già solo il fatto che questi temi siano emersi è straordinario. Ora ci sembrano scontati, ma non lo erano affatto. Quando si lavora con l’inchiesta pedagogica non sai mai dove porterà. Il fatto di essere arrivati a quattro macrotemi condivisi, frutto delle parole e delle storie dei ragazzi, è per noi un grande risultato.
E se devo immaginare la realizzazione concreta del progetto, penso proprio a quello che i ragazzi hanno immaginato: un polo educativo e culturale dove possano incontrarsi, fare eventi, vivere lo spazio come loro. Raggiungibile magari proprio con quei “taxi di Langa” che hanno proposto. Un luogo che tenga insieme tutte le istanze emerse, cucite in un progetto reale. Quello sarebbe il nostro sogno dei sogni.
Claudio — Allora, provo a dirla a modo mio: è una risposta semplice, anche se magari sembra una banalità. Nessuno resti indietro è prima di tutto un metodo di lavoro costruito su un percorso studiato a tavolino da noi educatori insieme a Giorgio. In questo senso, è assolutamente esportabile.
La cosa interessante è che, anche se lo portassimo in un altro territorio con gli stessi strumenti, emergerebbero sicuramente esigenze e risultati diversi.
Sul “vogliamo portarlo altrove”, lascio la parola a chi può davvero decidere. Però sì, è un progetto che può funzionare in tanti altri contesti.
Giorgio — Faccio una battuta: se ci sono fondi, sì! (ride)
Alberto — Riprendo due cose che Giorgio ha detto in modo scherzoso, ma che in realtà sono molto vere.
In Alta Langa c’era una rete reale che ha reso possibile tutto (un gruppo di insegnanti, un dirigente scolastico, associazioni, ecc.)
Alberto Contu
La prima è che siamo riusciti a lavorare in Alta Langa perché c’è stata una comunità che ci ha voluti. Questo fa una grande differenza: spesso, nei progetti legati alle politiche giovanili, si parte da una richiesta vaga: “fate qualcosa per i giovani”. Qui invece c’era una rete reale che ha reso possibile tutto (un gruppo di insegnanti, un dirigente scolastico, associazioni, ecc.).
La seconda cosa è proprio il tema delle risorse. Giorgio l’ha detto sorridendo, ma in fondo è così: se credi in un progetto, devi investirci. E non è scontato, soprattutto nel campo educativo, dove c’è ancora chi pensa che si possano fare cose valide con poco.
Giorgio — Già. E invece no: ad esempio, è stato necessario coinvolgere persone di alto profilo, a livello nazionale. Penso a Silvano Tagliagambe, a Damiano Mantegazza, a Federico Manzone, Giuseppe Tantillo solo per citarne alcuni. Persone che hanno davvero arricchito il progetto sul fronte della riflessione educativa.
Claudio — Guarda, io ce l’ho. È successo durante il primo anno di laboratori. Dopo aver raccolto storie e aneddoti dei loro paesi, dopo aver preparato l’arringa da rivolgere al mondo degli adulti, abbiamo chiesto ai ragazzi di scegliere uno slogan, come se volessero organizzare una manifestazione per farsi ascoltare.
La frase che è uscita è stata: “Vi sveglieremo con la nostra felicità.”
Era ispirata a un momento reale: un pomeriggio d’estate, un gruppo di bambini in bici aveva cominciato a girare per il paese suonando i campanelli, per “svegliare” una comunità un po’ addormentata. Quella frase, trasformata in slogan, secondo me racchiude tantissimo.
Il punto di partenza sono proprio loro: i ragazzi, i loro sentimenti, le loro visioni, i loro obiettivi. E quel “vi sveglieremo con la nostra felicità” è esattamente questo: il loro entusiasmo come forza viva, capace di tenere in piedi — e sveglie — le nostre comunità.