E’ con grande commozione che pubblico postumo questo testo, che testimonia il profondo legame, risalente alla guerra partigiana, di Giorgio Bocca alle nostre colline. Ho tratto questo testo dalla prefazione di un libro fotografico che, purtroppo, ora non trovo più e mi è quindi impossibile citarlo.
Le colline di Langa e gli uomini di Langa mi confermano nell’idea che qui la natura si manifesta nella sua arcana indifferenza per le nostre misere storie e da agli uomini che ci vivono e che ci abitano quanto occorre di follia per sopportarla.
Abituato come montanaro a stare con le spalle coperte a guardare un arco limitato e fisso del mondo – sempre le stesse montagne, gli stessi villaggi, le stesse nevi – ogni volta che scendo in Langa mi prende un senso di capogiro.
E in Langa, più che sul mare, che vedi la sfericità del mondo, che vedi le centinaia di campanili, la distesa infinita e ondulata delle vigne, i cieli bassi di nubi o di azzurro distendersi nella curva di questa sfera che corre non si sa perché nel vuoto sidereo trascinandoci con lei.
Che cosa ha la Langa per essere così differente dal prospiciente Monferrato o dall’Oltrepò Pavese, o dalle colline di Urbino? Ha qualcosa dentro, come delle radiazioni, come degli umori unici per cui tutto qui è più forte, più unico, il tartufo come le tome, la cacciagione come il vino, le arie come i colori. Per fissare in fotografia questi arcani poteri ci vuole lungo amore, lungo lavoro.
Giorgio Bocca