Arte e cultura

A 20 anni dall'alluvione: i nostri ricordi

Novembre 4, 2014
Alluvione del 1994 - Una squadra di

5 e 6 novembre 1994. La grande alluvione.

Il basso Piemonte, ed in particolare le province di Cuneo, Torino, Asti ed Alessandria, furono investite dalla furia del fiume Tanaro, del Po e dei suoi affluenti.

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Dopo più di 600 mm in sole 48 ore, il Tanaro crebbe a livelli spaventosi. A monte di Garessio, il 5 novembre, un’onda di piena iniziò la sua irresistibile corsa verso valle fino a giungere il 7 mattina alla confluenza del Po.

Le prime esondazioni ad Ormea, poi il crollo del ponte Macagno di Piozzo, le case spezzate di Clavesana e la sirena della Ferrero ad Alba, e poi la corsa folle verso le piane di Asti ed Alessandria.

Molti di noi di Langhe.net allora erano solo ragazzini, qui di seguito i nostri ricordi.

Federico

Capii che la pioggia incessante iniziava a destare preoccupazione a mezzogiorno di sabato 4 novembre.

Ero a scuola. Il campo da calcio che vedevo dalla finestra era coperto d’acqua.

Arrivai a casa, ricordo mia madre intenda a asciugare il pavimento del garage con uno straccio… La solita routine: quando pioveva un pò di più, la cantina e la tavernetta a volte si allagavano.

Asti

Non era niente rispetto a ciò che sarebbe successo da lì a un paio d’ore: la collina franata, i tombini pieni e l’acqua che si incanalava per le rampe. Di fretta io e la mia famiglia iniziammo a svuotare le cantine cercando di salvare quanto più possibile.

In poco tempo il livello dell’acqua melmosa crebbe, impedendoci di fare di più.

Da lì, fu un lungo lavoro di rimozione, pulizia e in parte di attesa: l’asciugarsi degli oggetti e dei muri, il capire se le porte che non avevamo fatto in tempo a togliere sarebbero state da sostituire perché gonfiate dall’acqua e infine con l’estate il bianco da dare sui muri per ricoprire le tracce scure.

Nei giorni successivi, mi unii alle squadre di aiuto dislocate in diversi luoghi di Alba: pala in mano e tuta bianca plastificata per dare una mano ai concittadini.

Una sera andai a vedere il Tanaro dal ponte che porta a Mussotto. Non si vedeva un granché, ma il rumore che saliva dalle acque me lo ricordo come se fosse adesso.

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Enrico

Mi ricordo il sabato prima dell’alluvione.

Pioveva da alcuni giorni, e quando uscii da scuola (facevo le medie alla Macrino, ancora nel complesso della Maddalena), c’erano già diversi centimetri d’acqua nelle strade del centro.

Litigai con mio padre, perché lui ebbe ad insistere che io chiamassi il nostro allenatore di calcio per aver conferma che la partita fosse stata annullata. Trovavo la cosa ridicola, ma chiamai comunque.

Quel pomeriggio venni portato dai nonni, a Magliano Alfieri, frazione Sant’Antonio. Abitavano in una cascina a bordo della statale per andare ad Asti.

Quando arrivai, nonno Nino (e forse mio zio Adriano) aveva iniziato a mettere i sacchetti di sabbia in cortile, per impedire che l’acqua entrasse nelle porte, in casa.

Verso sera, intorno alle 6, ero affacciato alla finestra della cucina a pianterreno. Era buio fuori e quando vidi una scarpa letteralmente fluttuare davanti ai miei occhi, mi resi conto che quello che avevo scambiato per il fondo del cortile in cemento, era invece acqua che aveva allagato tutto.

Mio padre arrivò con suo fratello Pasqualino: la sua macchina, una Croma TD, era rimasta bloccata in Vaccheria (qualcuno disse che si era “bagnata la placca” o qualcosa del genere) e dovemmo tornare ad Alba con lo zio.

La luce mancava, e mangiammo a lume di candela. Mi ricordo che c’era una sensazione elettrizzante nell’aria. Stava succedendo qualcosa di speciale.

Alluvione del 1994 - Una squadra di "piccoli" spalatori

Alluvione del 1994 – Una squadra di “piccoli” spalatori – a sinistra Simone Tablino (che scrive anche qui su Langhe.net) e in mezzo, il più piccolino, Enrico Cassinelli

Il mattino successivo andammo in piazza del Duomo. Mancava l’acqua e lì era stato allestito un centro di primo soccorso. Oltre all’acqua venivano distribuiti da mangiare, attrezzature, e si coordinavano i primi soccorsi.

In quel momento iniziai a rendermi conto che era davvero successo qualcosa, qualcosa di grande. Si parlava della Ferrero, di metri di acqua in tal posto, di metri di acqua in quell’altro posto, di “ondata di piena”.

Con l’entusiasmo di un ragazzino che non capisce fino in fondo la portata di quello che gli succede intorno, mi iscrissi nel registro dei “volontari”.

Eravamo una piccola banda di 7-8, tutti più o meno della stessa età: mi ricordo di Mauro Rosso, Simone Tablino, Nicola Destefanis, Oscar, Giacomo.

Ogni tanto finivamo in macchina con un ragazzo giovane (mi pare fosse della protezione civile), che alla radio si faceva chiamare Maverick e accendeva il lampeggiante, correndo fra le due corsie a cavallo della striscia bianca, per scarrozzarci in giro a togliere il fango.

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Come prima tappa, ci mandarono al Mussotto. Per caso, finimmo a casa di Enrico, un nostro amico. Il cortile era irriconoscibile, un mare di fango grigio, i garage completamente riempiti.

Poi via Vivaro, Vaccheria, e altri posti che non ricordo.

Tornavamo a pranzo in piazza del Duomo, dove ci davano dei panini. E poi ci riportavano in giro.

Alla sera tornavamo a casa stanchi e sporchi. Franco, il papà di Giacomo, ci dava una spruzzata con la gomma del cortile, per “togliere il grosso”.

Mi ricordo che c’era una gran voglia di rendersi utili: vedevi tutti quanti che si davano da fare, e anche tu ti sentivi di dover fare la tua parte.

La cosa che mi è rimasta più impressa nella mente, a posteriori, è l’immagine di Piazza del Duomo: i camion dell’acqua, le ambulanze, i tendoni. Ma soprattutto la gente che si scambiava informazioni, che voleva aiutare.

L’immagine di una comunità che non si rassegna e che si raccoglie insieme, unita, per far fronte alle avversità.

Corrado

Era sabato, stavamo cenando quando andò via la luce. Ancora poco più di un mese e avrei compiuto 11 anni.

La nostra casa, come tutto il nostro quartiere nel centro storico di Alba, fu inghiottita dal buio. Solo il rumore della pioggia e a breve l’urlo della Ferrero, la sirena che dagli stabilimenti richiamò ad un pericolo di cui non sapevamo ancora nulla.

Mia nonna, che abitava sul nostro pianerottolo, venne da noi, con una candela in mano. Mi raccontò, forse per rassicurarmi, che lei da giovane le sere le passava tutte così, a lume di candela col buio che riempiva tutto fuori casa, senza televisore, chi a parlare, chi a giocare a carte, chi a sonnecchiare vicino al putagè.

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Solo il mattino dopo capimmo cosa era successo durante la notte.

Nei giorni seguenti insieme a mio padre e a mio fratello andammo ad aiutare mio zio. La sua casa a Gallo d’Alba, appoggiata agli argini del torrente  Talloria (affluente del Tanaro), era stata invasa da un onda di 3 metri di acqua e fango.

Mi ricordo gli stivali incastrati nel fango e la coda in piazza del Duomo con mia mamma a ritirare i sacchetti di acqua. Era tutto surreale per gli occhi di un adulto, figuriamoci per un ragazzino di neanche 11 anni.

Qualcosa di incredibile, successe in quei giorni: in quel fango che ricopri tutto, la solidarietà e la vita si mischiarono alla morte e alla devastazione.

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 Le foto sono state estrapolate da vari documentari e riprese amatoriali presenti in rete.