Arte e cultura

Langhe: Patrimonio Unesco o terra di capannoni?

Luglio 11, 2017
Langhe Doc - Documentario sulle Langhe e i capannoni

Nel breve tempo della mia lunga vita l’Italia è cambiata in una maniera spaventosa. È tutta una lotta contro il tempo, bisogna riuscire a diventare civili prima che il disastro sia completo. Bisogna vedere se arriviamo ancora in tempo a salvare questo paesaggio. Per me in gran parte lo abbiamo già distrutto.

Questa l’amara sentenza del grande giornalista Giorgio Bocca,  nato a Cuneo e partigiano nelle Langhe, riportata nel documentario Langhe doc. Storie di eretici nell’Italia dei capannoni.

È un altro interessante lavoro di Paolo Casalis per la Stuff film, di cui avevamo già recensito un altro documentario sui Barolo Boys.

Anche se ne aveva già parlato Enrico in un articolo qualche anno addietro, vorrei comunque raccontarti il mio personalissimo punto di vista.

Andare oltre la critica

Si parla di come il paesaggio di Langa sia messo a repentaglio dalla cementificazione connessa alla modernità e all’abbandono della civiltà contadina, ma non è semplicemente una denuncia di qualcosa che non va.

Si parla anche di questo, ma da un altro punto di vista.

Da quello di chi ha scelto di tentare un’altra strada, anche se non aderente alle logiche commerciali o di profitto.

Le storie degli eretici

Durante il documentario abbiamo modo di conoscere Mauro Musso, Silvio Pistone e Teresa Mascarello. Lo stile estremamente asciutto di Casalis lascia al racconto dei protagonisti le motivazioni e i percorsi che li hanno portati a queste scelte in un certo senso radicali.

Senza voler raccontare troppo possiamo dire che i tre protagonisti sono accomunati dall’aver rinunciato a percorsi lavorativi e di vita che non li soddisfacevano per riscoprire un lavoro agricolo interpretato nel modo più autentico e tradizionale.

Quindi la scelta di coltivare certe varietà di grano, fare il vino o la pasta in un certo modo, più faticoso, ma di assoluta qualità.

La cosa interessante è che non c’è traccia dell’alone glamour che spesso accompagna chi propone la qualità in ambito enogastronomico.

I nostri tre non “se la tirano” per niente, anzi lottano contro lo scetticismo e le difficoltà che le loro scelte comportano.

Se per Teresa Mascarello, figlia di Bartolo, uno dei nomi leggendari del Barolo, la scelta di un certo percorso si inserisce in una realtà aziendale comunque già affermata, per gli altri due è interessante vedere come la bontà delle loro scelte sia ancora tutta da verificare.

Si intravedono infatti le potenzialità per un successo che potrebbe coniugare resa economica, rispetto del territorio e qualità e salute per il consumatore, ma allo stesso tempo si vede la fatica e la precarietà di iniziare un cammini del genere nell’era dei centri commerciali e dei discount.

Una regia non invadente

In questo ho molto apprezzato il lavoro di Casalis, che non sembra voler presentare i buoni contro i cattivi, ma racconta dei tentativi di non omologarsi ad un sistema oggettivamente non compatibile con l’ambiente e il territorio.

Questo discorso è ancora più interessante se fatto in Langa, dove fino a metà del secolo scorso la campagna voleva dire spesso miseria e fatica, e dove grazie al vino si è creata una delle zone più ricche di Europa e di eccellenza mondiale.

Allo stesso tempo i frutti di questo benessere rischiano di mettere a repentaglio il sistema stesso che ne ha craeato le premesse.

Il titolo Unesco e le sue contraddizioni

Troppe vigne dove una volta c’erano boschi e pascoli vogliono dire più trattamenti chimici per prevenire le malattie, e più ricchezza vuol dire cementificare il fondovalle, creando la situazione paradossale di un territorio che conquista il titolo di Patrimonio dell’umanità UNESCO ma a macchia di leopardo.

Questo perché buona parte di quello stesso territorio è stato troppo modificato dall’uomo e non rispetta i criteri per quel titolo.

In circa un’ora di video questo documentario offre uno scorcio fuori dai soliti cliché sulle Langhe e sul futuro delle sue coltivazioni.

Crediti Foto: Kerin O’Keef