Letture golose

Il Moscato d'Asti la produzione, domande e curiosità

Luglio 4, 2023

Il Moscato d’Asti è un vino che non si prende troppo sul serio perché ha in sé la sicurezza di avere una storia e una personalità vibranti capaci di stupire una volta conosciute, tutte molto legate al territorio che lo ha visto nascere.

We need a bottle of Moscato / Puts me in the mood for your lovin’ / Ya love it

AB-SOUl (FT. KENDRICK LAMAR)

Per questo è apprezzato da molti: per il fascinoso mistero istrionico che lo circonda.

Ma quali sono le caratteristiche principali di questo vino? La dolcezza mai stucchevole, la freschezza, il sapore delicato di uva appena colta che lo contraddistingue. Inoltre, la sua gradazione non eccessiva lo rende piacevole alla beva, versatile e adatto a tutti i tipi di palato e di gusti.


Lasciarsi sedurre dall’ammaliante “canto” del Moscato è facile, soprattutto durante l’ardente calura estiva. Infatti non si dovrebbe relegarlo a vino “da festeggiamenti” natalizi o solo da dolce perché ha in serbo peculiarità tutt’altro che scontate.

Una piccola premessa

E’ importante fare una distinzione per i meno esperti tra l’Asti e il Moscato d’Asti.

Pur essendo prodotti dallo stesso vitigno in purezza (moscato bianco 100%) e facendo parte della medesima DOCG, sono due vini diversi. La differenza sta nel metodo di produzione.

Il Moscato d’Asti, non subendo la presa di spuma, non è uno spumante, anche se è caratterizzato talvolta da una lieve frizzantezza naturale (si dice che è “vivace”), mentre l’Asti è uno spumante dolce.

Come si produce

Per la produzione del Moscato d’Asti l’uva viene pressata utilizzando presse a polmone (pressione massima di 1,5 Bar) e il mosto così ottenuto, ripulito dalle particelle solide in sospensione mediante defecazione statica, centrifugazioni e/o filtrazioni, viene refrigerato per evitare l’inizio di fermentazioni indesiderate, ripulito delle particelle solide in sospensione e mantenuto in celle frigorifere (0°C) fino all’avvio della fermentazione.

La tecnologia per la preparazione del Moscato d’Asti prevede il riscaldamento del mosto da 0° a 18°C, aggiunta di lieviti selezionati a bassa produzione di acetaldeide (odore di mela cotta) e conduzione della fermentazione a temperatura controllata variabile dai 18° ai 20°C.

damigiane_moscato

Quando il mosto vino arriva ai 4,5 – 5,5 gradi di alcool svolto si arresta la fermentazione alcolica mediante refrigerazione a -3°C, si filtra e si procede all’imbottigliamento previa ulteriore microfiltrazione sterilizzante. Quest’ultima si rende necessaria in quanto bastano pochi lieviti residui per dare origine a una rifermentazione del prodotto che porterebbe ad un intorbidamento del vino, alla modifica del sapore e in casi più gravi, alla rottura della bottiglia.

Il Moscato d’Asti, pur non essendo uno spumante, mantiene una vivacità che lo rende unico.

Simone tablinoEnologo

Il Moscato d’Asti, pur non essendo uno spumante (non viene sottoposto a presa di spuma durante le fasi finali della fermentazione alcolica), mantiene una vivacità che lo rende unico.

In funzione delle caratteristiche compositive e della moderata pressione in bottiglia, l’imbottigliamento isobarico di questo vino necessita di rigide condizioni di sterilità microbiologica.

Inoltre, il Moscato d’Asti si differenzia dallo spumante per l’impiego in tappatura del classico tappo in sughero cilindrico poiché è un vino caratterizzato da un limitato contenuto in alcool e da un importante tenore zuccherino.

Voce ai produttori

Delle strabilianti proprietà del Moscato D’Asti DOCG ne abbiamo parlato in maniera approfondita e stavolta vogliamo raccontare gli aspetti della sua produzione, dando voce a chi questo vino lo conosce davvero perché lo produce.

Ringraziamo pertanto Barbara dell’azienda Gatti Piero e Maurizio della cantina Beppe Marino, entrambe a Santo Stefano Belbo, Marco Bussi della cantina La Badia a Calosso, Luca della cantina Ugo Balocco a San Marzano Oliveto, Eleonora dell’azienda Matteo Soria di Costigliole Tinella per aver risposto con entusiasmo ai nostri quesiti.

Buona lettura!

santo stefano belbo - eventi

Secondo te, perché è un vino che piace?

Barbara — Anzitutto bisogna distinguere a chi piace: ai giovani, così come alle persone di età avanzata, soddisfa più o meno per gli stessi motivi, perché è un vino facile, con poco alcool, dolce e frizzante, che puoi bere addirittura al pomeriggio per far merenda!

C’è un’altra parte di pubblico, invece, che ha pregiudizi e lo definisce “poco impegnativo”, ma quando lo assaggia, cambia idea, se è fatto bene. All’estero piace perché è dolce e leggero, adatto ai palati anche poco abituati a vini impegnativi.

Marco — Piace perché ha bassa gradazione alcolica e un’accattivante base dolce che lo rendono di facile beva. Era considerato “vino da donne”: oggi questa etichetta si sta pian dimenticando perché è apprezzato un po’ da tutti.

Inoltre, sono anche cambiate le modalità del suo consumo, che lo vedono protagonista degli aperitivi e ottimo compagno di piatti salati. Insomma, non è più relegato ai cenoni delle feste e alle occasioni importanti. Questo cambiamento anni fa sembrava un’utopia.

Luca — A mio avviso il Moscato piace per la sua inconfondibile aromaticità, unica per il Moscato bianco di Canelli coltivato sulle nostre colline. E’ dolce, fresco, fragrante può essere accompagnato dai dolci e dagli stuzzichini salati. Queste caratteristiche lo rendono unico nel suo genere e vengono apprezzate e ricercate dal consumatore.

Eleonora — Piace perché è un vino molto versatile e può essere anche abbinato al salato o bevuto durante l’aperitivo.

Maurizio — Piace perché è armonico e il suo ottimo equilibrio tra il residuo zuccherino e acidità lo rende gradevole e facile da bere. Nonostante sembri un vino semplice, non lo è affatto: la sua aromaticità invoglia il sorso e, una volta in bocca, la sua dolcezza mai stucchevole, è compensata dalla freschezza donata dall’acidità, che lascia bocca pulita.

Qual è il suo principale mercato?

Barbara — Più della metà della produzione è destinata all’estero: ne vendo tanto nel Nord Europa, ma anche in Messico, Australia e Giappone. La restante parte è acquistata in Italia, soprattutto nei ristoranti e nelle enoteche, nel periodo prima di Natale, tra novembre e dicembre.

Marco — Attualmente, oltre al mercato nazionale, il mio Moscato è tanto richiesto in Asia, soprattutto in Cina.

vendemmia - La Badia

Luca — Il nostro principale mercato è l’Italia, con alcune interessanti aperture in Nord Europa e America.

Eleonora — Le bottiglie con la nostra etichetta sono principalmente vendute in Italia.

Maurizio — A livello di volume, se la giocano America e Cina, che lo adorano per motivi differenti: gli americani amano la sua leggerezza e lo consumano come bevanda, anche in abbinamento alla cucina etnica, mentre i cinesi – che stanno diventando dei consumatori molto consapevoli – lo bevono a tutto pasto perché si sposa bene con i gusti agrodolci delle loro preparazioni. Per quanto riguarda le soddisfazioni, invece, vince sicuramente il mercato europeo, in particolare Svizzera e Grecia.

E’ davvero appagante conoscere di persona chi acquista il nostro vino e sapere che il nostro lavoro viene ammirato: il cliente europeo dà molta importanza all’esperienza della cantina e conta tanto sul rapporto umano che si viene a creare.

Vorrei aprire una parentesi guardando al passato e aggiungere che se il Moscato oggi è legato al territorio è merito dei produttori degli anni ’80 – tra cui mio padre – che hanno promosso questo vino con passione, in Italia e all’estero, cercando di scardinare l’idea che fosse solo un vino da panettone.

Ai tempi, intorno alla metà degli anni ’90, non era facile per noi piccoli produttori della Valle Belbo perché erano soprattutto apprezzati i rossi e il Moscato non era richiesto perché dolce.

Abbiamo dovuto farlo assaggiare per far cambiare idea a tanti, che hanno imparato ad apprezzarlo.

Un aneddoto curioso di clienti stranieri o italiani che si approcciano a questo prodotto?

Barbara — Molto spesso – parlo soprattutto per gli italiani – capita che in un gruppo di amici ci sia quello che ne è particolarmente appassionato, mentre gli altri sono un po’ prevenuti. Dopo che lo assaggiano però si ricredono e lo apprezzano tantissimo.

Marco — Quando si approcciano al Moscato che produco, molte volte provano un senso di stupore perché non immaginano di trovarsi davanti a un prodotto del genere.

L’idea è di poter portare nel bicchiere il sentore dell’uva e questo penso ci riesca bene, quindi la gente rimane spiazzata perché magari ha precedentemente degustato del Moscato di qualità inferiore, un semplice vino bianco dolce.

Il vino non ha data di scadenza, ha una sua evoluzione.

Marco BussiLa Badia

Un Moscato prodotto con certi crismi e un certo tipo di uva è molto longevo rispetto ad altri che hanno una base meno pregiata: solitamente si dovrebbe bere entro i due anni successivi alla vendemmia, ma un vino non ha data di scadenza, ha una sua evoluzione.

Quest’anno, per esempio, al Vinitaly il Consorzio dell’Asti ha fatto una Masterclass su vecchie annate di Moscato e ha fatto assaggiare qualche nostra bottiglia del 2005. Chi ha condotto la lezione è rimasto stupito!

Ci si deve approcciare al Moscato non più come un vino da fine pasto, infatti il nostro è stato definito quasi un Sauternes perché i suoi profumi erano impensabili. Ed è una scoperta incredibile perché, valorizzandone le caratteristiche, dopo anni si possono egregiamente abbinare anche formaggi erborinati, proprio come succede per i passiti o i Sauternes.

Lavori manuali e metodi moderni convivono nei lavori in vigna

Luca — Li possiamo distinguere in due categorie: chi già lo conosc e non può farne a meno in degustazione – c’è proprio una richiesta esplicita di degustarlo – e chi non l’ha mai assaggiato o non gli dà importanza.

Con questi ultimi bisogna insistere un po’ per farlo assaggiare, ma dopo averlo degustato, vedo che rimangono piacevolmente colpiti perché non si aspettano questo tipo di prodotto. Sovente nascono piacevoli discussioni sul Moscato e la sua storia e alla fine acquistano sempre alcune bottiglie.

Questo mi dà tanta soddisfazione perché è bello far conoscere o far riscoprire un frutto del nostro territorio, ma ci dimostra allo stesso tempo anche che c’è ancora molto lavoro da fare.

Eleonora — Sono tutti molto incuriositi riguardo al metodo di produzione per la bassa gradazione alcolica e poi anche per gli abbinamenti enogastronomici. Chi lo assaggia per la prima volta rimane colpito perché piace subito: il nostro Moscato ha un buon equilibrio tra dolcezza e acidità senza cadere nello stucchevole.

Maurizio — Gli uomini solitamente si fingono disinteressati, poi le mogli li convincono ad assaggiarlo e rimangono catturati dal suo aroma. Le donne aiutano molto nell’approccio, aspettano impazienti la fine della degustazione, come fosse la ciliegina sulla torta.

Un’esperienza che piace tanto a chi viene a trovarci è quando assaggiano il mosto (0 % alcool) perché percepiscono tutti gli aromi primari dell’uva moscato, della frutta.

Se devo fare un distinguo a livello anagrafico, più sono giovani e più gradiscono, perché magari conoscono ancora poco della cultura del vino e quindi non hanno pregiudizi e poi perché è semplice, ma buono.

Tra le zone italiane invece dove è particolarmente amato il nostro Moscato troviamo il centro sud. Lo apprezzano soprattutto i toscani e laziali. Gli abitanti delle altre regioni tendono a preferire i rossi corposi.

Quali nuove sfide deve affrontare il Moscato nel mercato? E nella produzione?

BARBARA — La sfida che deve affrontare il Moscato – ma parlo anche per tutti gli altri vini – è il mantenimento della qualità.

Il Moscato si è emancipato tanto negli ultimi anni, quindi di sfide ne ha già affrontate parecchie.

Barbara GattiPiero Gatti

Il Moscato si è emancipato tanto negli ultimi anni, quindi di sfide ne ha già affrontate parecchie. Il territorio del Moscato andrebbe fatto conoscere di più, non essendo ancora una zona così turistica rispetto ad altre.

Si tratta di un prodotto abbastanza difficile dal punto di vista della produzione: per produrlo serve tantissima tecnologia e si deve fare bene in pochissimo tempo. E’ vero però che questa caratteristica presenta anche dei vantaggi, perché a differenza di altri vini che richiedono anni prima di essere immessi sul mercato, il Moscato è pronto subito.

Marco — Non è semplice superare l’impasse di relegare il Moscato a un vino strettamente da festività, specialmente nel mercato nazionale. Già all’estero è visto come un vino con le sue caratteristiche, con momenti di consumo maggiore per quello che riguarda le feste, ma con un impiego anche nella quotidianità.

Dal punto di vista della produzione, le sfide partono dalla vigna. Il Moscato d’Asti ha avuto una leggera flessione – così come l’Asti Spumante – quindi la tendenza è stata un aumento delle rese per ettaro. Ovviamente non si può spingere troppo perché ne andrebbe della qualità e noi piccoli produttori puntiamo tutto su quest’ultima perché non si può essere competitivi sui prezzi se si ha poca produzione.

Un’altra delle sfide maggiori è la lavorazione del Moscato perché é molto tecnica e veloce: se manca la qualità della materia prima, diventa difficile spuntarla e avere un risultato ottimo.

Luca — Indubbiamente c’è la corretta gestione agronomica in vigneto per raggiungere l’ottimale maturazione dei grappoli e preservarne l’aromaticità.

In seguito, nella produzione del Moscato d’Asti (e anche Moscato d’Asti Canelli) la difficoltà sta nel conservare il mosto dolce e senza alcol fino alla presa di spuma, ma anche preservare e valorizzare l’aromaticità del vitigno, cosa che non va mai tralasciata.

Eleonora — La sfida è combattere la credenza per cui può essere bevuto solo con panettone e dolci, ma anche quella che sia un vino che deve essere bevuto giovane, perché il Moscato che mantiene la sua freschezza per anni, e i profumi evolvono, ma rimangono interessanti.

Dal punto di vista della produzione richiede molto lavoro: in vendemmia stocchiamo il mosto tenendolo al fresco, ne facciamo fermentare una parte in modo da avere tutto l’anno il prodotto sempre pronto. In questo modo anche il vino che si compra per esempio ad agosto, è sì del 2022, ma è come fosse appena fatto perché lo imbottigliamo ogni settimana.

Maurizio — Faccio una premessa: il Moscato, fino a 15-20 anni fa, era considerato il vino da festa per antonomasia. Poi però, negli Stati Uniti c’è stata l’incursione di cantanti rap (N.d.R. Ne abbiamo scritto qui) che l’hanno apprezzato tanto da parlarne nei loro pezzi e questo ha fatto sì che avesse una enorme eco.

La produzione di Moscato prima era minima, poi, l’esplosione nel mercato americano ha dato una spinta e in pochi anni la produzione è aumentata e si è trasformato in vino “chiacchierato”. Molti produttori quindi si sono accorti del suo potenziale e hanno iniziato a impiantare uva moscato un po’ ovunque.

Produrre un buon Moscato artigianalmente però è molto costoso perché i macchinari sono cari: si lavora con il freddo, con l’acciaio e la pressione, una tecnologia avanzata è d’obbligo. E’ vero che è un prodotto a veloce rotazione e che quindi le spese si ammortizzano in cicli corti, ma per noi piccoli produttori alzare i prezzi è davvero complicato.

E’ necessario che il Moscato si prenda lo spazio che merita e che sia indissolubilmente legato al territorio

Maurizio MarinoBeppe Marino

Un’altra sfida che stiamo cercando di affrontare è quella della politica del copyright, mi spiego meglio, è necessario che il Moscato si prenda lo spazio che merita e che sia indissolubilmente legato al territorio: il terroir rende unico questo prodotto.

A livello di produzione, invece, la sfida più grande è il clima: mentre una volta le migliori posizioni erano a sud, oggi, a causa del caldo, stanno diventando ottimali le posizioni più fresche, così che la pianta possa far maturare al meglio le uve.

Inoltre, la maggior parte dei comuni in cui è possibile produrre Moscato sono in Valle Belbo: qui le pendenze sono importanti e i lavori devono essere fatti manualmente. Questo si traduce in costi molto elevati da affrontare, che spesso costringono i produttori ad abbandonare i vigneti più difficili da accudire.

Ugo Balocco - Ambiente e uva di qualità

Quali sono le qualità del vino Moscato che preferisci? Un abbinamento particolare?

Barbara — Del Moscato mi piace tantissimo la freschezza perché, se fatto bene, oltre alla dolcezza, ha una buona acidità e lascia la bocca pulita. Altro aspetto importante che si riscontra in questa tipologia di vini molto freschi è che sembra davvero di mangiare l’uva mentre lo bevi. E’ proprio la sua peculiarità.

Come abbinamento, magari può risultare banale, ma secondo me i dolci a base di nocciola sono l’ideale: due prodotti tipici del territorio che si esaltano a vicenda.

Vorrei ancora aggiungere una cosa, dato che l’intervista è terminata: il Moscato è un prodotto unico nel suo genere, non solo in Italia, ma in tutto il mondo: un vino prodotto con un’uva aromatica, dolce e frizzante. Inoltre si tratta di una delle varietà più coltivate della nostra zona: sono 52 i comuni di produzione e circa 10.000 gli ettari vitati. Non sembra ma parliamo di una fetta gigante dell’economia. Per questi motivi si può considerare uno dei vini più rappresentativi del Piemonte.

Marco — I profumi sono il suo forte e, come ho già accennato, il sorso ricorda l’acino d’uva appena raccolto.

A livello di abbinamento, l’ho provato un po’ con tutto e non mi ha mai deluso: mi piace accompagnarlo ai salumi. L’ho persino provato con il salmone affumicato e devo dire che ne è valsa la pena.

Inoltre, nonostante sia stata una scoperta del tutto casuale, è gradevole anche come cocktail da aperitivo, composto da 2 parti di Moscato d’Asti e 1 di Vermouth rosso.

Luca — Adoro il Moscato per la sua grande versatilità, dolce ma che si sposa bene anche con il salato.
Una aromaticità unica e inconfondibile. Avete mai provato un Moscato invecchiato 10 o 15 anni? Provate e ne rimarrete stupiti!

A mio avviso si abbina molto bene con la pasticceria secca, fantastico con la torta di nocciole. Un abbinamento sfizioso è con pane burro e acciughe, ma si beve anche molto bene da solo, facendo quattro chiacchere tra amici!

Eleonora — Ne apprezzo le sue qualità principali, ovvero la freschezza e i profumi. Essendo un’ uva aromatica, appena lo versi nel bicchiere regala un’esplosione di aromi di frutta, come la pesca. Il mio abbinamento preferito è senza dubbio con i formaggi.

Maurizio — Adoro il Moscato vecchio stile: mieloso, che sa di salvia e dà la sensazione di mordere il grappolo d’uva.

Il nostro Moscato “Muray”, con la sua dolcezza quasi bruciata e la sua freschezza data dalla buona acidità, rispecchia a pieno queste caratteristiche. I suoi profumi invogliano a berlo e il sorso riempie bene la bocca.

Le uve che usiamo per produrlo provengono da una vigna che si trova in una zona particolarmente vocata per la vite, chiamata all’epoca mio nonno Muray per l’appunto. Questa parola dialettale, deriva dal piemontese “mu” gelso e “ray” rado e indicava un’area dove i gelsi (la cui presenza un tempo era alimento ideale per l’allevamento di bachi da seta) non si coltivavano.

L’abbinamento a me più caro è con la torta di nocciole perché legato a un ricordo di quando ero bambino, mia nonna la faceva sempre. Sono cresciuto a Moscato e piatti casalinghi fatti da lei.

Per terminare

I produttori ci hanno permesso di immergerci in un calice di Moscato d’Asti, facendoci apprezzare maggiormente le sue peculiarità e le fatiche intrinseche legate alla sua produzione, ponendoci di fronte anche al futuro di questo vino.

Continuiamo dunque a celebrarne il gusto, la produzione e il territorio con un brindisi persistente come le sue note!

Crediti Immagini: Stefano PertusatiMichael Verhoef