Arte e cultura

Franco Gotta a Palazzo Mathis: le opere di una vita

Luglio 9, 2018

È stata inaugurata venerdì 6 luglio a Bra, presso lo storico edificio di Palazzo Mathis, la mostra personale della carriera di Franco Gotta (6 – 29 luglio), nell’auspicio della celebrazione comunale di uno dei più attivi e artisticamente longevi pittori locali.

L’occasione

Alle 18:30, nelle splendide stanze barocche del palazzo, la mostra è stata inaugurata con un discorso introduttivo che contava diversi ospiti. In primis Bruna Sibille, il sindaco che ha portato gli omaggi della cittadina ad uno dei suoi più affezionati artisti, che ha definito “grande orgoglio”.

Poi Fabio Bailo, Assessore alla Cultura, che ha spiegato come la mostra è stata organizzata, ricordandola come occasione di incontro a cuore aperto con Gotta. Fiorella Nemolis, madrina delle sue mostre, ha celebrato questa festa dell’arte invitando gli osservatori, in veste di esperta compagna critica fedele a Gotta ormai da anni, a lasciarsi parlare dai quadri.

Inoltre Martina Perugia ha intrattenuto i presenti con le note della sua arpa, regalando ai partecipanti l’occasione di sperimentare l’arte non solo con la vista ma anche con l’udito.

Francesco Gotta

Francesco Gotta (“Franco”, al secolo) è un pittore braidese in opera da quand’era poco più che ventenne. Al suo attivo ha già moltissime occasioni (sin dal 1984), come l’ultima presso il Castello di Santa Vittoria d’Alba, oltre che numerosi rapporti di committenza privata.

Silenzioso e quasi sommesso, ma sorridente e frizzante, quando lo si sente parlare con il suo pulitissimo ed impeccabile accento piemontese che fluisce pacato dalle labbra, si riconosce la vita di un uomo semplice e diretto, che non ostenta il proprio talento ma che anzi non manca mai di dedicarsi con sincerità nel proprio lavoro, passione di una vita e modo diverso di dire ‘io’.

Il rapporto con la pittura

Un pennello inveterato il suo, senza dubbio, perché dipinge da ben più di quarant’anni: una carriera lunga una vita, nell’ottica della quale ogni quadro è la pietra miliare di una storia.

All’osservatore della mostra che abbia voglia di conoscere la trama segreta della successione delle tele, ogni composizione si presenta come un variopinto crogiolo di sensi, sentimenti e sensazioni che dalla setola, sospinti dall’abile e appassionato polso, hanno saputo ravvivare l’intreccio di fili facendone risaltare il contenuto a vista d’occhio.

Portando, nondimeno, un messaggio, un simbolo, un contenuto. Una storia, appunto: quella di uomo nel mondo e del mondo secondo un uomo, ben lontana dalle ispirazioni bohèmiennes, dall’autocelebrazione o dal superomismo.

Per questo, forse, ritrae spesso momenti di vita in cui manichini da disegno si animano e si muovono, o contemplano, simboleggiando una condizione esistenziale nella loro immacolata coreografia spoglia di attributi.

Lo stile

La pittura di Gotta rispecchia a pieno il suo stesso abbreviativo: è franca, gentile ma anche suadente.

Sta in bilico sospesa tra la metafisica e l’espressionismo, poiché dalla prima sembra ereditare la compostezza e l’universalità dei contenuti, mentre con il secondo ha in comune la potenza e la fervidezza dei colori. Senza dimenticare l’ascendenza a volte magrittiana di alcune composizioni, in cui una verve surrealista lancia una chiara sfida all’osservatore e monopolizza il momento interpretativo, richiedendo di essere meditata e compresa.

È una pittura sicura, che poche volte manca dei contorni e delle delimitazioni che ripartiscono ciò che viene raffigurato.

Ci sono però anche la sfumatura, la sperimentazione dei colori e la giustapposizione, che rendono ogni tela vivida a proprio modo annullando lievemente il coefficiente di realtà e verosimiglianza, che solitamente rimane alto.

Il paesaggio

Grandi spazi, aperti, come gli splendidi paesaggi assolati delle Langhe, scene collinari, tramonti sui campi, o su distese d’acqua, in riva al mare.

In alcune composizioni, la sua pittura degnamente moderna ricorda lo squisito equilibrio di Gaugin tra nitidezza della linea, corposità uniforme del colore e semplicità armonica delle sagome.

Da aggiungere ancora la luna, quella stessa che Pavese vedeva illuminare i falò a Santo Stefano Belbo: vigile matrona sullo sfondo che osserva sempre, capeggia le spalle dei soggetti in primo piano e cambia sempre colore, in base al momento in cui viene ritratta.

 “Cherchez la femme”

C’è anche un lato non ricordato alla mostra nella pittura di Gotta: la figura femminile, principessa che, come nell’Olympia di Manet, sventa sensuale in tanti bei quadri del pittore e riempie prepotente, ma sinuosa, gli spazi.

Le curve promiscue dei corpi mettono in gioco l’eros in maniera – per quanto esplicita a volte – delicata e naturale, sensuale ma controllata.

Le espressioni dei volti raccontano gli sguardi, uno o tanti che siano, serviti al pittore per imprimere nella sua memoria il quadro e riportarlo sull’intreccio di fili, dopo averlo rimaneggiato con il filtro dell’emozione.

I sentimenti vibrano dentro queste figure, sono forti le sensazioni che l’artista ha voluto eternare e raffigurare vividamente creando i suoi lavori, confessandosi con crine e tavolozza alla mano.

“Dialoghi a colori”

È nella sinestetica monografia Dialoghi a colori (IMAGO, 2001) che il pittore ci mostra tutta la sua dimensione di uomo: non soltanto pittore, ma anche amico, amante, compagno e padre, di due gemelli, Samuele e Matteo, che non mancano mai alle sue celebrazioni o mostre e si prodigano perché la sincerità che il loro cognome porta venga riconosciuta.

Ed è in queste pagine che la figura femminile si rivela una ‘trappola amorosa’: una morsa al cuore del fruitore che intenda completare l’osservazione con le composizioni che accompagnano ogni quadro, le quali aggiungono una veste poetica come corollario dell’occasione pittorica.

Qui l’artista si confessa a parole e, con la gentilezza di un tocco bianco, effonde i suoi pensieri più intimi.

Con questo libro, quasi d’obbligo per conoscere meglio l’artista, tutto si fa più consistente: in ogni sezione trova spazio un’arte; tra poesie, quadri e lettere Franco offre un suo ritratto immediato, puro e trasparente, portando il lettore direttamente nell’intimità del suo atelier spirituale.

L’interessante invito che il pittore lascia dietro di sé è quello di conoscerlo, di seguirlo e di comprenderlo, di decifrare quale sia l’algoritmo in cui poesia e pittura, immagini, suoni e parole si mischiano nella sua personale espressione per formare un tutt’uno calido, vero e sincero.